mercoledì 18 marzo 2009

Pesci, piante e blog

Carissimi e sopratturo carissimo tu, Blog,
vi sto trascurando un po’.
È tipico del mio carattere.
Mi piacciono i pesci rossi ma li faccio morire tutti.
Permettete che mi alzi un attimo in piedi in memoria di Ulisse, Abramo e Isacco.
Dopo averlo fatto diventare anoressico, per senso di colpa avevo rimpinzato di formaggio grana (!) Ulisse, che poi è morto di apoplessia dovuta ad indigestione.
Isacco, non si sa perché, un bel giorno si è addirittura suicidato, saltando fuori dalla vaschetta dopo l’ennesima lite con Abramo (morto sì di fame, ma a veneranda età come il suo illustre omonimo).

Mi piacciono da matti i fiori e mi sdilinquisco davanti ad ortensie, violette, orchidee. Non parliamo delle rose.
A Ravello ho passato tre ore nei giardini wagneriani di Villa Ruffolo, in trance.
Per dire.
Ma non regalatemi una pianta, dopo un mese è sicuro: la faccio appassire. Non l’annaffio.
Regalatemi dei fiori recisi… E che durino al massimo tre o quattro giorni.
Poi si adattano alle mie speculazioni filosofiche, la bellezza dura poco, il profumo, la vita, tutto…
Meglio guardarli spesso, goderli…
La pianta invece è lì… e accidenti e se mi dimentico? E i sensi di colpa?? Un fiore non me li pone.

Insomma io sono quella che fa morire il tamagochi. Avete presente quel giocattolino giapponese che ha sullo schermo un pulcino?
Se ogni tanto non lo schiacci il pulcino non riceve nutrimento virtuale. E dopo un po’ biiiip, malinconicamente si spegne.

Caro Blog, adesso faccio un fioretto. Sarai il tamagochi che non farò morire, la pianta di fiori che annaffierò, il pesce rosso a cui darò da mangiare.

Almeno credo… ;-)

un po' di poesie...

Ma in questo blog di poesie d'amore... mancano le mie poesie!!

Incredibile.

Eccone alcune tratte dal mio libro "Come la luna di giorno, come la luna di notte" edito da Lir



Impara ad amarmi

Impara ad amarmi.
E’ tanto difficile amarmi?
E non solo il mio corpo,
quattr’ossa
mescolate a morbida carne
domani già polvere.
Ama le mie debolezze,
ti prego,
amale tanto,
tanto da proteggerle dal mondo.
Ama la parte di me
che conosci
Ama il mistero di quella
che ignori.
Ama ciò che mi rende diversa
dagli altri
Ama ciò che mi rende uguale.
Ama ciò che ti sorprende.
Ama ciò che ti rassicura.
Amami con coraggio:
l’amore è un leone
che si muove spavaldo
non un coniglio spaventato
che fugge al primo sparo.
Amami con un pizzico di follìa
ché l’amore senza follìa
è una minestra senza sale.
Amami come se dovessi
conquistarmi
perché desiderata da tutti,
prenditi cura di me
come se non mi volesse nessuno.
Amami “nonostante”
Amami “siccome”
Amami “affinché”,
ma non amarmi “quando”
amami “SEMPRE”.



Punto di non ritorno


Non tornerò più come prima:
l’abisso dell’amore
si è aperto davanti a me
ed io con volo d’angelo
sorridendo mi sono
già tuffata.
Tra poco
sarò già morte
o mare arcano e ristoratore.
E’ fatta:
ora ti amo.
Qual è stato il confine
quale la pietra miliare
sul mio ineluttabile cammino?
Non riesco,
non riesco a ricordarlo.
Del resto chi si avvede
del passaggio
dalla veglia al sonno?
Forse tutti siamo
nati da un sorriso
e forse anch’io dal tuo.
Ma ora…
che sarà di me?
Mi sento già così incompleta
essendoti lontana.
Mi sembra di pensare,
agire, essere
volteggiando attorno a te
come inseguendo
una luce meravigliosa.
Ho già paura di bruciare,
perché sento che non riuscirò
a non toccarti.
Ma è troppo tardi:
ora hai in mano
la mia fragile vita
e avverto delicata
la tua nella mia.
Ma è leggera!
E’ bella come un velo di tulle!
Mi ci avvolgo e sono la più preziosa,
la più amata
delle donne,
sì, la più felice!



Mi manchi tanto

Mi manchi tanto
Quando mi succede
Che il mondo gira alla rovescia
Che non vedo nulla
Al di là della mia rabbia.
Guardo la pioggia
Che infradicia l’estate
Rovinandole il suo abito più bello
E la trascina nel buio
Della morte
In attesa della rinascita
Dura e lontana.
Ho tanto freddo.
Vorrei parlarti
E solo sentirti
Illuminerebbe tutto
E lo scalderebbe.
Nascerebbe il sole a mezzanotte!
Tutti alzerebbero lo sguardo
Verso il cielo
E chiederebbero spiegazioni
A Dio o al governo
E poi io mi affaccerei
E spiegherei che ho sentito
La tua voce
Dopo tanto tempo
E che la notte si è squarciata
E tutti felici circonfusi di luci
Canterebbero e festeggerebbero
Felici per me, felici per te.
Mi manchi tanto.


Le lacrime del mare

La bottiglia iniziò a navigare
verso paesi lontani,
i marinai tiravano sassi per giocare e romperla,
qualcuno con un amo cercava di afferrarla,
ma bisognava sporgersi troppo.
In realtà bastava che una barca
si avvicinasse alla sua semplice rotta
e che un uomo la prendesse con una mano.
Ma il comandante ordinò di passare avanti,
c’era un branco di pesci da pescare
e poi forse c'erano le solite frasi sul messaggio:
“Un amore perduto, la preghiera di un ritorno
il desiderio di un regalo speciale.”
Nulla che non si potesse urlare al cielo
o sussurrare in una preghiera.
Così la missiva del naufrago
continuò a galleggiare tra le onde, sempre più alte,
finché si infranse contro uno scoglio
e la carta si intrise di acqua e di sale,
le lacrime del mare.


Discontinuo

Ho perso i ricordi
ho perso me stessa.
La sabbia della
mia clessidra
caduta dolorosamente
è fuoriuscita
dispersa nelle fessure
della mia casa.
Sono io che
ho incrinato il vetro
ed è come se avessi gettato
via ciò che mi faceva
male,
che mi sembrava
superfluo.
E invece tutto serve
a me
focomelica di ricordi,
ramo senza tronco
attaccato alla radice.



Ti aspetto sulla luna

Se mi cerchi
ti aspetto sulla luna.

Distenderò

lenzuola d’argento
e preparerò dolci
di rose e di miele.

Lascia il passato
e le sue maglie
di ferro,
falle indossare
ad un altro.

Rendimi nuova
come una figlia
di Diana.

Dammi un nome
che nessuno
ha mai avuto prima

Voglio la luna.

La chiederò
alle streghe bianche
e agli elfi dei sogni
e se mi cerchi
ti aspetto là




mercoledì 4 marzo 2009

ancora pensieri d'amore

Oggi ho ricevuto un altro pensiero d'amore... che arriva via mail da un partecipante alla fiera del cioccolato di San Valentino.

Eccovelo:


L'estate più fredda e torrida che abbia mai visto

Il vento non mi riscalda,
il sole non fa luce e
il caldo non mi scalda.
Ormai sono finito,
ho chiuso.
Ma pero' ricordati questa estate,
cosi fredda e ghiacciata
non ci riflettera mai piu'.

(G. C.)

domenica 1 marzo 2009

Un po' di Giusy... in prosa.

Un po’ di Giusy in prosa…

IL DIVORATORE DI LIBRI


Un assaggio del "Il Divoratore di libri”… il racconto con cui ho iniziato la mia avventura con i Volatori rapidi di Piacenza, il gruppo di scrittori - e di carissimi amici - di cui faccio parte, inserito nel libro 1995 km da Santiago vincitore del premio speciale Città di Piacenza Rotary e premio della critica Città di Salò.




(…) Nel mese d’agosto la Biblioteca chiudeva tradizionalmente per due o tre settimane.
La bibliotecaria che aveva parlato con Odisseo era stata una delle ultime ad uscire.
I maestosi corridoi deserti irradiavano calore, i libri stessi, distri-buiti nelle varie sale, sembravano far caldo, come maglioni esposti in anteprima nelle boutique in piena estate.
Il metronotte inserì tutti gli allarmi sotto gli occhi della solerte impiegata, che inforco la bicicletta e si diresse a casa.
Nella sala conferenze dietro il Salone Monumentale, quella sempre chiusa al pubblico, una figura nascosta dietro alle bacheche sospirava di gioia.
Aprì la porta a vetri del salone, accese una potente torcia a pile e, con gli occhi lucenti, ammirò gli imponenti scaffali di legno pregiato che perimetravano il Salone che così deserto sembrava immenso ed era tutto suo! Suo!
Odisseo toccò, attraverso le grate protettive, i consunti volumi del cinquecento e ne ebbe un piacere quasi sensuale.
Si sdraiò sul pavimento per contemplare questa immensa quantità di volumi, questi secoli di sapere che ben presto avrebbe assimilato.
Uscì dal salone e disinnescò tutti gli allarmi.
Nelle ultime settimane aveva spiato i movimenti dei metronotte e memorizzato tutti i codici d’accesso.
Ora la biblioteca e i suoi duecentomila libri erano suoi, suoi per tre settimane!
Non poteva accendere la luce perché l’avrebbero intravista all’ester-no, così era la torcia ad illuminare i suoi passi.
Odisseo saliva e scendeva dalle scale e, come un maniaco sessuale nel più grande postribolo del mondo, andava a scegliere i libri più belli e preziosi, gli incunaboli più rari.
Ormai la sua lettura era divenuta rapidissima, gli occhi scorrevano le righe con la velocità di un computer.
Non mangiava, Odisseo.
Beveva solo acqua dai rubinetti dei bagni per non disidratarsi.
A volte il caldo torrido gli imperlava il corpo fino ad infradiciarlo.
Era stremato. Di notte dormiva per terra, avendo per giaciglio i libri che avrebbe letto il giorno seguente e nel sonno sognava vortici di parole che lo inghiottivano, pronunciate in lingue strane: aramaico, sanscrito, egiziano.
Era stato ospite dei giardini di Semiramide, aveva ascoltato un concerto di piano sul divano di Odette Swann ed era partito da Macondo al seguito del colonnello Buendia!
Ormai era nel delirio più assoluto: credeva che il semplice contatto con un libro avrebbe trasfuso tutto il suo contenuto fin nel suo midollo e così toccava tutti i volumi uno ad uno, arrampicandosi sulle scale, per raggiungere quelli più alti, quelli più antichi.
Non avrebbe mai potuto leggerli tutti in una vita, ma toccarli sì… Sfiorò un libro di preghiere medioevali e in tutta la Biblioteca si diffuse come in filodiffusione un canto gregoriano.
Guardò il suo corpo sudato e scheletrico.
Ormai non sopportava nemmeno più di ottemperare ai più evidenti bisogni fisici per non sottrarre tempo alla lettura.
Persino bere un goccio d’acqua da un lavandino significava perdere minuti preziosi per dissetarsi alla fonte del sapere.
Aveva rinunciato anche a dormire… temeva che qualcuno si sarebbe introdotto nel Palazzo per effettuare qualche controllo e allora avrebbe dovuto interrompere la sua missione.
Dopo sette giorni giaceva quasi esanime nella sala a scaffale aperto, la luce ormai spenta, i morsi della fame che lo divoravano.
Trovò in tasca un lussuoso accendino, ricordo dei tempi in cui si ubriacava, andava a donne, fumava…e fece luce.
In preda alla fame si trascino verso uno scaffale e afferrò un libro. Dapprima incerto sul da farsi, poi con ferocia, comincio a strappare le pagine e a deglutirle, una ad una.
Dopo i primi bocconi comincio ad avere la consapevolezza di quello che stava facendo.
Nella sua allucinazione immaginava di avvicinarsi ad un cibo sacro.
Il sapore era acre e la durezza delle pagine gli graffiava l’esofago.
Quando finì il suo pasto belluino, guardò il libro che aveva divorato: era l’Inferno Dantesco, il prezioso volume illustrato da Doré.
A quella vista perse la testa e si senti dannato, dannato per sempre.
Lo sfogliò febbrilmente e vide che una parte si era salvata.
Solo un canto. Il XXVI, Il canto di Ulisse. Ulisse…Odisseo!
Il nome che rimbalzava di bocca in bocca nei corridoi al suo passaggio e che ora gli appariva nella sua tragica coincidenza.
Tutti i tasselli cominciavano a quadrare.
L’universo stava tessendo il suo destino. Forse stava per raggiungere davvero la fusione totale tra vita e arte, tra vita e sapere…. (…CONTINUA)




Mantova…Maratona di scrittura Volo Rapido 2008
Regole 550 minuti per 2550 battute
Racconto vincitore della tappa

“SO FAR AWAY FROM ME”

L’alba. L’ora del giorno che più mi piace, che più mi si addice.
Come il suo colore.
Che è quello del tempo, dell’indefinito, del blu che va a passeggio tra le nuvole rosse.
E’ come una nota musicale, una corda di violino tesa in un accordo diverso dal carattere gioioso di un Do o di un Fa, o giovane e squillante di un Sol. E’ un Si minore, una sfumatura di malinconia persa in un sorriso.
Forse la malinconia di Dio.
E’ in quest’ora che ritrovo me stessa e il mio corpo
L ’ultravioletto penetra le mie carni senza bruciarle. E io corro, corro libera.
Le mie gambe dapprima sembrano incollate al terreno, contratte dalla fatica, poi improvvisamente volano… e decollano nel cielo assieme alla mia mente.
<> canta Mark Knopfler dei Dire Straits nel mio i-pod, e io penso sempre a te in questo punto del parco, a te che sei lontano.
E corro sempre più forte, pensando di inseguirti e di raggiungerti, finalmente.
Ma ieri sera mi hai mandato quel messaggio.
Mia madre mi ha tenuto stretta tra le braccia tutta la notte e mi ha lasciato piangere.
Non volevo nemmeno andare a lavorare, ma invece sono venuta persino a correre.
Stavolta a correre lontano da te.
Non è giusto però scappare. Mai.
E così eccomi seduta su questa panchina.
Come nel Truman Show sfilano tutti i miei compagni di strada: cani, atleti, vecchi patetici con le loro tute colorate, donne vagamente anoressiche, donne evidentemente bulimiche. Sembra che tutti rincorrano qualcuno o scappino da qualcosa.
La forma fisica è solo un pretesto.
E queste nuvole…
Scorrono sopra la mia testa, la stessa testa che fino a ieri aveva in mente solo te.
C’è la solita coppia di fidanzatini. Splendono come pianeti benevoli di un oroscopo fortunato.
Tutti al loro passaggio riflettono il loro amore, come satelliti invidiosi.
E anch’io oggi sono una luna acida e stizzita.
Ma ecco, il colore del cielo sta cambiando. Gli uccelli spaventati emettono suoni striduli.
Il grigio cupo minaccia pioggia, e il silenzio cala sulla coppia.
Eccoli ora i due, immobili e ostili.
Non è piovuto, e sono ancora qui, sulla panchina.
Tra pochi minuti devo tornare al mio lavoro, quel lavoro per cui siamo così lontani, uomo della mia vita.
I due ragazzi ora si stanno baciando: non si sono lasciati, anzi orbitano l’uno intorno all’altra come stelle gemelle.
Il mutare repentino del tempo e dei loro sentimenti però ha commosso nel profondo il mio spirito. E mi fa sperare.
Forse tornerai.
Forse potrò tornare a correre e a inseguirti “…. So far away from me”.



Racconto terzo classificato a “L’autobus del Tempo” concorso bandito da Tempi Agenzia – Agenzia di Trasporto pubblico di Piacenza
(pubblicato nell’antologia nazionale ASSTRA)

SVENTATO OMICIDIO

“Parma batte Piacenza 1 a 0. Il derby del Ducato va ancora alla squadra della sua capitale”
- Ma lassa lé!-
Emilio spense la radio del suo autobus di linea.
Lui ce l’aveva a morte con il Parma.
Nella partita di ritorno avrebbe esposto uno di quegli striscioni che a quei fetenti sarebbe venuto male.
Lui ce l’aveva a morte con Parma.
“A Parma c’è più vita, Parma è diventata la capitale europea dell’alimentazione e piantatela col dire che Verdi è piacentino che in tutto il mondo sanno che è di Parma!”
Ma c’era di più. Quello che gli aveva portato via la Claudia, a due mesi dal matrimonio, era di Parma.
Riaccese la radio:
“E’ in corso a Ginevra un esperimento che riprodurrà il big bang e creerà un buco nero artificiale. Non temete, non ci sarà la fine del mondo né disturbi dello spazio tempo anche se…”
Interessante, commentò l’autista.
A lui piaceva tenersi informato, cosa credeva la Claudia.
Per esempio quella storia del Ducato e della capitale.
Era la storia di Pier Luigi Farnese. Il figlio del Papa.
Roba del 1500, all’incirca. Pier Luigi era venuto a stare a Piacenza, che allora era la capitale del Ducato.
Poi i piacentini, che si sa che sono diffidenti con chi viene da fuori, un bel giorno l’avevano accoppato e i Farnese avevano fatto le valigie e se ne erano andati a Parma.
E da qui le scarogne dei piacentini e l’insuperbirsi dei parmigiani.

Stava concludendo la sua corsa alla stazione delle corriere di Piazza Cittadella.
Scese dal suo mezzo ormai deserto e si stupì che non ci fosse nessun altro autobus fermo nel parcheggio.
Ma non c’era nemmeno più la stazione, né i palazzi vicini.
Né il Palazzo Farnese!
Si girò e non vide più nemmeno il suo n° 15!
Sparito anch’esso.
In compenso una carrozza trainata da due splendidi cavalli lo investì, facendolo cadere a terra. Prima che sparisse in uno strano edificio che assomigliava a una fortezza, fece in tempo a vedere al suo interno un uomo barbuto, vestito come in un quadro antico.

Emilio era uno che non si stupiva di niente.
Da quando poi la Claudia gli era scappata via ancora meno.
L’esperimento sul big bang, i viaggi nel tempo… Oddìo, vuoi vedere?
Si alzò dolorante e si guardò attorno.
Una vecchia si fermò e, sbarrando gli occhi davanti alla sua divisa da autista, si mise a urlare: – Stregoneria, stregoneria!-
-Taci brutta megera e dimmi dove mi trovo e quando!-
-Anno del Signore 1547. E questa è la dimora dell’eccellentissimo Duca Pier Luigi Farnese. E’ passato prima in carrozza– biascicò tremante.
Pier Luigi! Proprio lui! Ne stava parlando proprio prima mentre... l’esperimento!Il buco nello spazio tempo!
Ma che importava, aveva una missione ora da portare avanti!
Fu così che Emilio l’autista di Tempi si recò da Pier Luigi il Duca dei Farnese.
“Non deve morire, non deve morire!” – diceva stringendo i pugni.
Ripensò a Claudia e al marito parmigiano e accelerò il passo.
Bussò al portone della fortezza, quella stessa dove aveva visto scomparire la carrozza, e subito gli si radunò attorno la guardia, composta da soldati armati di alabarde.
-Cosa vuoi? –
-Voglio salvare il Duca Pier Luigi che rischia di essere ucciso –
Uno dei capi dei soldati sbiancò.
Dopo pochi secondi l’autista si ritrovò con una spada puntata alla gola: - E voi facevate parte della cospirazione! Aiuto! -
-Chi sei miserabile? Da chi mi vuoi salvare?- l’uomo della carrozza, che indossava un prezioso abito di velluto rosso, lo apostrofò con aria di scherno, mentre usciva dal palazzo.
- Duca- ansimò Emilio- io vengo dal futuro per dirti che oggi, se non stai all’erta, i nobili piacentini ti pugnaleranno a morte. Anche questi soldati sono contro di te! –
Una goccia di sangue sgorgò dal suo collo mentre il capo della guardia urlava: - Uccideteli tutti e due!-
Emilio si divincolò e spinse Pier Luigi dentro il palazzo.
Si barricarono assieme nel salone più interno.
Doveva essere un altro effetto dell’esperimento del buco nero se il Duca ascoltò e credette al suo racconto, ai congiurati, al suo viaggio dal futuro di cui lo convinse mostrandogli una foto che, manco a dirlo, era della Claudia prima che sposasse quello di Parma.
Il Duca mandò un piccione viaggiatore dalla torre della cittadella e, dato che non era meno efferato di chi lo voleva morto, fece arrivare un battaglione fedele a suo padre Papa Paolo III che sterminò i suoi nemici. Altro che la scena di Ulisse che ammazza i proci… tutti i ribelli furono massacrati e Pier Luigi fu portato in trionfo.
-Cosa vuoi –disse alla fine il Duca- per il tuo servigio?-
-Che Piacenza sia sempre la capitale del Ducato. A Parma costruiscici delle galere. E per me una grande carrozza: sono abituato a viaggiare comodo-

Il Duca gliela fece trovare proprio dove lui di solito parcheggiava l’autobus. Emilio vi salì tronfio e felice.
Mentre i cavalli partivano al galoppo una brusca frenata lo riportò alla realtà.
Era di nuovo sul suo autobus, il n° 15.
Quel diabolico esperimento…come per magia era tornato nel presente, allo stesso punto di prima.
Si guardò attorno: il Palazzo Farnese era raddoppiato, altre torri si affacciavano sulla piazza e uno splendido giardino sorgeva al posto del mercato coperto.
Al dito portava una fede con scritto “Emilio e Claudia”.
Dalla radio:”Piacenza batte Parma 2 a 1, si aggiudica il derby la città di Verdi, capitale del Ducato.”
Un sorriso irrefrenabile lo illuminò.
-Tiè!-



CURIOSITA’ STORICHE

Il 10 settembre 1497 il Duca Pier Luigi Farnese fu ucciso a pugnalate da alcuni nobili piacentini. A seguito di questo avvenimento il figlio Ottavio spostò la sua residenza da Piacenza, che era allora la città più importante del Ducato, a Parma per sdebitarsi della fedeltà dei suoi cittadini dopo l’assassinio del padre.
Lo stesso Ottavio decise di sospendere i lavori previsti per il completamento di Palazzo Farnese a Piacenza.
Il 10 settembre 2008 è stato effettuato a Ginevra, a cura del CERN, L’Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare, un esperimento per riprodurre il big bang e creare un buco nero. Alcuni allarmisti avevano predetto la fine del mondo e il verificarsi di inaspettati viaggi nel tempo.