lunedì 30 agosto 2010

Nuove poesie...

E' un periodo in cui sono un po' dispersiva e sto lavorando a tre progetti contemporanei di scrittura. Probabilmente dovrei concentrarmi su uno solo... ma io sono fatta così.
Ecco le ultime poesie che ho pubblicato su alcuni siti internet... e che riporto di seguito, inserite in una raccolta di prossima pubblicazione.

L'ordine naturale

Non so perché
Ma non amo
L’ordine naturale delle cose.
Il susseguirsi
perpetuo delle stagioni.
L’alternanza
Del giorno e della notte.
Le tappe delle vita:
il primo dente
a un anno,
la pubertà a dodici,
a trenta il matrimonio,
a sessanta la pensione.
Io voglio la confusione,
la deviazione,
la non ripetizione.
Potrei morire
Per una riedizione
Di un già vissuto,
Di un già voluto,
Di un già ascoltato.

Sfiancata
Da un vivere comune
Mi fermo sulla riva di un fiume
A sognare
Che vada controcorrente,
Che le foglie
Non cadano dai rami
Ma si alzino
Leggere in cielo,
Che a Natale
Si mangi la Colomba,
Che il fuoco
Spenga l’acqua
Che l’uomo
Morda il cane.

Ma tutto identico
E uguale ripete
Se stesso ogni giorno,
Solo inclinando la testa
Cambia il mio punto di vista,
Ma questo è troppo poco
Non basta
A tenermi qui calma
Non basta.


GCP


Mulier

Chi sei anima mia,
nascosta in questo corpo
di donna?
Ho sempre pensato
Che le mie idee
Non avessero sesso,
Ma non era vero.

Sul mio cuore c’è un seno
Rifugio di un bimbo,
Promessa d’amore.
Come un cuore raddoppiato,
Esposto agli occhi di tutti.
Eppure
è'questo il mio segreto.

Sono il ventre del mondo,
sono una casa,
rifugio perenne
di desideri smarriti
pronta risposta
di mute domande.

Avvolgo come un manto
Chi ha freddo
E riscaldo.
Chi cerca da sempre
Il calore e la vita.

Chi sei anima mia?

Se l’uomo è la guerra
Io sono la pace
Se l’uomo è la sete
Io sono la pioggia
Se l’uomo è la fame
Io sono il pane.

(GCP)

domenica 29 agosto 2010

Parole e numeri

Da qualche tempo su Facebook propongo ai miei "contatti" racconti che ho scritto tanto tempo fa, pubblicati sul quotidiano Libertà.
Per i miei "giusynauti" del blog vorrei fare lo stesso.
Sto pensando di raccoglierli in un libro.
Li sottopongo volentieri al giudizio di tutti gli amici che mi vengono a trovare qui.

Estate Libertà- I Racconti > Estate - I Racconti 2003


Parole e numeri



di Giusy Cafari Panico





Quella maledetta paura di scrivere.

Erano due anni che non scriveva. Non si sentiva più degna di farlo. Ogni volta che si accingeva a rendere concrete le idee che si affacciavano in lei, si fermava. Paralizzata.

Si rendeva conto che solo pensieri banali le galleggiavano in testa. Concetti omologati, parole standardizzate, come testi di un programma televisivo commerciale.

Sotto il galleggiamento, tuttavia, percepiva un ribollire continuo e incessante.

Cercava di pescare nel pozzo della sua interiorità quel mostro marino che la inquietava e nello stesso tempo la stimolava. Nulla. Pescava solo stracci e scarpe vecchie, già use e consunte, con grande insoddisfazione e irrequietezza.Da quando poi aveva ripreso il suo studio dei classici, ogni autore le si parava davanti con le sue invenzioni maestose, le sue trame sottili, le descrizioni accurate, mai scontate o noiose…La "Recherche" di Proust… quale dramma averla ripresa in mano dopo la faticosa e svogliata lettura della giovinezza… quei magnifici personaggi tratteggiati pian piano nel corso di un'opera mastodontica, sorpresi, come per caso, solo nelle loro attitudini più mondane, nei salotti, eppure caratterizzati ognuno con tale maestria da far trasparire tutta la loro vita anche al di fuori di quello scenario… Non sarebbe mai riuscita creare un personaggio come il Barone di Charlus o la signora Verdurin… Né tanto meno le mille altre letture che in quei lunghi mesi avevano riempito la sua insopprimibile esigenza di letteratura potevano alleviarle quel senso di estrema inferiorità.Tutto era già stato scritto, tutto già pensato… come l'arte figurativa postmoderna aveva abdicato all'innovazione, così, anche quella letteraria doveva forse rassegnarsi alla rinuncia della rappresentazione per rifugiarsi in qualcosa d'altro, forse nella non letteratura? O forse era solo la "sua" presunta arte letteraria che non era più arte, che non era nulla…Una scrittrice che non scrive… come un essere vivente che non vive…, un amante che non ama.

Perché i fili dei suoi ragionamenti interiori non la avvincevano più come un tempo, quando era costretta, anche per strada, a cercare un pezzetto di carta qualunque, persino uno scontrino di cassa, per trascrivere pensieri, emozioni, per non perdere quei pezzi di sé che altrimenti avrebbe perduto per sempre?

Dove ritrovare quello strano fuoco interiore che si alimenta da sé a prescindere dal successo o dall'apprezzamento della gente…

Cosa le mancava?

Haima sapeva che l'unica strada per ritrovare se stessa era quella di cercare la parola, le parole, le note musicali con le quali ogni scrittore sogna di creare la sua grande sinfonia.Le evocatrici di bene e male, le formule magiche che Dio ci diede per evocare il mondo, "universali" oggetti di secoli di dispute filosofiche, Verbo fatto carne o carne fatta Verbo …Haima si concentrava sul concetto di parola, per cercarla, per riconoscerla,per tornare ad amarla…Anche se le sfuggiva in ogni modo. Da ogni angolo della sua mente, da ogni ricordo, da ogni dialogo… Invano la rincorreva e cercava di afferrarla per depositarla e scriverla. Si ribellava, sbuffava, si contorceva e si divincolava.

Come fermarla?

Dove trovarne uno sciame per afferrarne al volo almeno una…

Non nei freddi numeri che la circondavano.

I numeri.

Senz'alcun dubbio era necessario che qualcuno se ne dovesse pur occupare. Come in un ingranaggio ogni pezzo è ugualmente importante per il corretto funzionamento, così per l'organizzazione delle attività del mondo era inequivocabilmente indispensabile che una percentuale di esseri viventi fosse applicata nella gestione dei numeri.E ad Haima era capitato di entrare nell'ingranaggio, perché la vita ti conduce anche dove non avresti voluto andare.Numeri, numeri, tanto freddi, tanto più pesanti e definitivi … quando invece la parola è leggera, vola nell'etere della fantasia e cattura come un acchiappafarfalle tutti i significati che ognuno vuole attribuirle… E se è pronunciata dalle diverse voci umane muta colore come un prisma, dal nero di chi se ne serve con spietatezza al rosa di chi la dice con animo delicato, al giallo di chi la fa uscire da sé carica di maligni sottintesi. Raramente una parola è circoscritta come un numero. Quando lo è - come in "morte"o "mai più", -diviene una maschera tragica, si tinge di viola e ci porta a contatto con la finitezza del nostro essere. Pur nella sua concisione e nel suo bastare a se stessa non esaurisce il pensiero di chi parla o scrive o ascolta. Morte: cinque lettere terribili a cui però si accompagna lo speranzoso dubbio se la morte sia davvero la conclusione di tutto… in definitiva se la morte sia la morte; mai più… due piccole parole accompagnate o dal timore che quello che si è concluso non accada più… o che, al contrario accada ancora.La parola è un ponte tra chi parla e chi ascolta, tra chi scrive e chi legge, mezzo di comunicazione senza spazio e senza tempo, che ci permette di comunicare con persone morte da secoli (morte quindi, ma dunque per tornare alle elucubrazioni di prima … veramente "morte"?) e abitanti nelle più lontane terre del mondo…Parole parole parole, quelle che non bucavano più il suo foglio di carta bianco che rimaneva illibato non come una giovane vergine in attesa del suo primo bacio, ma come una rugosa zitella che non sperava più nemmeno in una carezza.Così Haima si chiuse in una stanza, senza suoni, senza luce … in cerca di se stessa.

Non la trovò più.

Fece molta fatica a togliere dalla sua mente le mille banalità e affanni della vita quotidiana. L'olio sintetico e un po' dozzinale che faceva funzionare i famosi ingranaggi, fatto di abitudini, meccanicismi di occupazioni concrete a cui aveva dato un'importanza eccessiva, microcosmi lavorativi in cui non era altro che un numero, appunto, intercambiabile, divertimenti che appagavano la sua corporeità ma non il suo spirito.

Ecco dove si era persa.

Ecco dove i più si perdono, dimentichi dell'umanità e della scintilla divina che si esprime nelle nostre unicità, del nostro essere diseguali da tutti. Omologati, allineati, abbruttiti nel seguire la corrente, nell'essere semplici addendi, cambiando il cui ordine nulla cambia.

Numeri, numeri.

Non c'è nulla di male nei numeri, basta tenerli a bada e non considerarli altro che numeri, severi giudici della nostra vita, delle nostre ricchezze. Onesti connettori dei segreti dell'universo, comode grandezze per mettere ordine nel mondo.Ma dall'ordine non nasce arte.

Dall'ordine deve distaccarsi necessariamente una particella maleducata, ribelle che crea la dissonanza, la varietà, in definitiva… la vita.

Haima respirò a fondo e, sola e al buio, si dimenticò delle occupazioni recenti, delle sue banali rivendicazioni da travet e tornò bambina, con la voglia di conoscere il mondo e di farsi domande su tutto quello che vedeva, di conoscere tutte le parole… ogni parola che imparava era un pezzo di mondo che conosceva e si teneva dentro… come tanti software inseriti man mano in un computer, anzi nel Computer Supremo che il grande Bill Gates del Creato ci ha fornito cadauno.Con la sua infanzia rifecero capolino emozioni e persone dimenticate, storie cancellate, sorrisi e pianti. Dolori forti, anche, che la sorpresero in un pianto dirotto.E poi amori passati, viaggi, tanti volti … la sua vita… in un viaggio breve ma intensissimo che la lasciò esausta e dolente.

Recherche … non era un caso che negli ultimi tempi leggesse come ossessionata la lunga opera di Proust. Ricerca del tempo perduto. Ricerca di sé.

Cercare, cercarsi e non trovarsi… Ritrovarsi. E promettere di non perdersi mai più.

Haima riaccese la luce e si guardò allo specchio.

Gli occhi scuri cerchiati dal pianto. Avvicinò il proprio viso allo specchio, sempre più vicino fino a sfiorarlo.Si scrutò così negli occhi con uno sguardo penetrante che non avrebbe rivolto nemmeno al grande amore della sua vita…Nella pupilla di solito un po' velata rivide riapparire una luce antica, che veniva da chissà dove… comunque da molto lontano. I due sguardi si congiunsero fulminanti.

Haima era tornata.


(GCP)

giovedì 26 agosto 2010

DUE ANNI FA... OGGI


‎26 agosto 2008 Per una finale di un concorso di scrittura ( Volo Rapido di Porsche Italia) si incontravano a Ravello, in una delle più belle località italiane, 23 persone provenienti da luoghi diversi e lontani tra loro, che non si erano mai viste prima, unite dalla passione per la scrittura. Tutti avevamo vinto delle "tappe" in 11 città diverse.
Il feeling? Immediato, come le amicizie che sono nate.
Dopo due anni... quante cose sono cambiate, quanti successi, quanta vita......... ma è bello pensare che siamo ancora in contatto e che ricordiamo quei due giorni come tra i più indimenticabili della nostra vita...

Eccoli/eccoci...

Emanuela Gravina
Maria Lucia Riccioli
Paola Ancarani
Giusy
Valentina Caselli
Pietro Chiappelloni
Alessandro Chiappetta
Francesco Danelli
Fabio Degano
Emiliano Dominici
Chiara Ferrari
Anna Indri Raselli
Gianluca Iovine
Alessandra Locatelli
Enrico Losso
Alessandro Morbidelli
Luisella Pacco
Frederic Pascali
Fabrizio Re Garbagnati
Francesca Schipa
Grazia Tarantino
Simone Togneri
Francesco Troccoli

domenica 15 agosto 2010

Pensieri e desideri

La nonna mi porta fortuna e mi segue sempre, lo so.
Mentre ero nel suo luogo natale ho visto una scia di un aereo... e ho pensato e ho sperato che una persona cara mi stesse pensando... spero che sia vero, mi farebbe piacere.
Eccolo il mio pensiero/desiderio. L'ho fotografato mentre lo "contraccambiavo".
Lo mando alle persone a cui voglio bene perché "vedano" anche loro i miei pensieri così che sappiano che le ho sempre nel cuore, anche da lontano. Ciao...



Dove vanno a finire i pensieri?
si dissolvono
senza fare rumore
e vivono in una realtà
parallela,
dove è tutto vero,
tutto possibile.

Creatori di mondi
ogni giorno, ogni istante
siano noi gli Dei,
fecondi e inconsapevoli
genitori dell’Universo.

(GCP)

Ciao cari amici...

( Daniela Quieti ed io all'Eremo di Santo Spirito)

( "Madre" Majella)


La Chiesa Madre di San Valentino e Damiano (di Vanvitelli, architetto di Trinità dei Monti) dove prese i voti mio zio Nicola



Carissimi amici,
le mie vacanze abruzzesi sono finite...con tanto rammarico.
Al momento dei saluti con Fiorella, la mia cara bellissima albergatrice, dallo sguardo marino blu e malinconico, mi è venuto da piangere.
Non mi capita spesso, anzi, forse è la prima volta.
Grazie a tutti coloro che mi hanno accolto a braccia aperte nella loro terra, dalle mie anziane ma vivacissime cugine, a Daniela e Gabriele, straordinari ospiti e miei "Virgilio" delle terre dei miei nonni.
Grazie di avermi portato a San Valentino in Abruzzo Citeriore, a casa della "nonna", ad Abbateggio, sulla Majella nello straordinario Eremo di Santo Spirito rifugio del Papa Eremita del Gran Rifiuto Celestino V.
Grazie a Fiorella, Rosalinda, Deanna, Katia e Orazio per l'ospitalità.
Grazie agli ortonesi che mi hanno riconosciuta per strada e mi hanno ringraziato per aver parlato della "nostra" cittadina. Vorrei fare di più per questa città martoriata dai bombardamenti e dall'incuria dello Stato e della politica...

E' poco, ma vi dedico questa poesia scritta nel mio primo viaggio abruzzese del 2005, dedicato proprio ad Ortona.


Vento d’Abruzzo

Vento d’Abruzzo,
vento natio,
brezza fresca
sferzante di freddo
anche nell’ora più calda

Eccomi, mi hai chiamato.
Ero lontana
e ora son qui.

Parlami con i sussurri
del sangue
di chi non ho mai conosciuto.

Portami le speranze
di chi si è immerso
con povere vele
in questo mare lucente.

Mostrami i baci e gli sguardi
impauriti
delle mie ave zitelle
dagli occhi brillanti
e poco casti,
il bianco e nero
delle loro vite
e delle loro fotografie.

Raccontami
i porti d’approdo
dello zio marinaio
bello e sfrontato
con le donne prosperose
a lui avvinte
e un po’ unte
dalla sua brillantina.

Regalami l’ironia pungente
e l’avventuroso fatalismo
della tua gente
martoriata dalle bombe
e dalla terra sassosa e ballerina.

Riportami per un attimo
la severa figura di mio nonno
e il suo sguardo onesto
e penetrante,
i suoi sogni di bambino
qui a guardare questo mare
e le sue valigie sempre
da fare.
A sfidare il mare.
E la guerra.

Sento la sua nostalgia
feroce come la nebbia
della mia
della sua
nuova terra
e la sento un po’ anche mia.
Perché atroce è la malinconia
di chi vive in luogo
senza radici.

O vento della mia sconosciuta patroa,
nato dalle montagne
della selvaggia Majella,
accarezza il mio volto
e le mie lacrime
di una vita lontana da te,
lontana dal mio vero
autentico sangue.

Sento un profumo nell’aria
E’ profumo di me,
della mia parte migliore
sempre pronta a partire,
sognare, esplorare
come i miei antichi paesani
che solcavano questo mare
per approdare in terre lontane.

Solo qui lo sento,
solo qui mi sento a casa.
Finalmente.

Anch’io di qui partirò
dopo essermi tanto arenata
e la vita navigherò
dissotterrando le ancore
troppo a lungo
fermate.

Vento d’Abruzzo,
portami lontano.
Ma che possa un dì ritornare.


(GCP)


Il Palazzo Farnese costruito da Margherita d'Austria



La spiaggia del Faro


Il Castello Aragonese di Ortona sulla Passeggiata Orientale

lunedì 9 agosto 2010

San Tommaso Apostolo - Promessa mantenuta



L'avevo promesso, testimone Gerry Scotti, durante la puntata del Milionario in cui ho avuto la "grazia" di vincere 70.000 euro su un quesito riguardante San Tommaso Apostolo, le cui spoglie mortali sono custodite nel Duomo di Ortona.
Oggi pomeriggio sono andata ad accendere la mia famosa candelina.
E' stato molto emozionante per me, per vari motivi che per una volta mantengo privati.
Però mi sento in dovere di pubblicizzare a mio modo, in questo piccolo spazio, questo importante ma non conosciutissimo centro di pellegrinaggio, dove si respira un'atmosfera di grande misticismo, legata poi ad uno degli apostoli "più simpatici" ed umani.
Quello che non credeva, quello che voleva toccare con mano.
La storia della traslazione delle spoglie dall'India, dov'è morto ( questa era la risposta che ho dato e per cui sarò debitrice per tutta la vita a San Tommaso) all'isola di Chio e poi ad Ortona è lunga... ma invito tutti coloro che amano questo tipo di pellegrinaggi a venire qui.
E' una bella emozione.

Intermezzo letterario

Tra le bellissime giornate passate qui in Abruzzo non posso non ricordare quelle che ho trascorso in compagnia della cara amica, nonché poetessa e scrittrice Daniela Quieti a Pescara.
Grazie a lei ho visitato la casa natale di D'Annunzio, il Vate...
Un personaggio controverso che però esercita su di me un grande fascino. Nel bene o nel male non può di certo lasciare indifferenti e sul suo genio non credo ci siano dubbi.

Il 4 agosto poi ho assistito ad una bellissima presentazione poetica della casa editrice Tracce. Presenti oltre a Daniela Quieti che ha proposto con la consueta straordinaria grazia la sua toccante raccolta poetica "Uno squarcio di sogno", l'infaticabile direttrice di Tracce Nicoletta Di Gregorio con l'affascinante "il respiro dell'ametista" e la bella e brava Bibiana La Rovere con "Cuore Cavato"


Nei prossimi giorni aggiungerò altre foto e informazioni in questi post abruzzesi, ma per il momento vorrei ancora ringraziare Daniela e il suo splendido marito Gabriele per la loro amicizia, la loro signorilità di altri tempi e la loro modernissima simpatia. Vi adoro!! Smack!

Vacanze abruzzesi

Ciao amici!
Ho scoperto di poter usufruire di una connessione internet e allora eccomi qui a colloquiare con voi nello spazio cibernetico.
Mi trovo a Lido Riccio di Ortona a Mare, la città di mio nonno Giuseppe.
Sono qui da una settimana che è stata rilassante ma piena di piacevolissimi eventi.
E' per me una grande emozione essere qui nella terra dei miei avi.
Non me ne vogliano i miei carissimi amici piacentini... ma sento molto queste radici, le sento nel mio essere più viscerale e questa terra ce l'ho nella parte più vera del mio cuore.

Ortona è una città dalla storia molto tormentata. Durante la seconda guerra mondiale è stata, assieme a Cassino ( altra mia "patria", quella dei miei bisnonni Cafari Panico), la città più martoriata dalla guerra, tanto da essere chiamata, anche all'estero, la piccola Stalingrado. Ci sono cimiteri di soldati di diverse nazionalità, soprattutto canadesi.

E pensare che era bellissima ed aveva avuto un epoca d'oro ai tempi di Margherita d'Austria, Duchessa Farnese di Parma e Piacenza, che è morta qui, ma sepolta nella mia città, a Piacenza.


Che strano gemellaggio, vero? Ortona e Piacenza.
La città di mio nonno e la mia.

Poi Ortona è famosa per tanto altro.
Il Re Vittorio Emanuele ha lasciato l'Italia ( qui dicono "è scappato" ) partendo proprio da qui all'indomani dell' 8 settembre 1943.
Poi è la città della grande famiglia dei pittori Cascella, di Maurizio Costanzo (quasi nessuno lo sa), di Rocco Siffredi ;-)), di Tosti e della madre di D'Annunzio.

Ma soprattutto è la città di San Tommaso apostolo. E vi rimando al prossimo post...

domenica 1 agosto 2010

Racconto sul quotidiano Libertà - IL PATTO

Oggi 1 agosto su Libertà il mio racconto estivo dal titolo "IL PATTO"
Lo riporto qui di seguito. Buona lettura ( se volete )

IL PATTO

La schiuma si stava ritirando lentamente.
Un nero intenso aveva sommerso il tenue color caramello del liquido appena versato.
«Adesso si può bere» Stefano avvicinò il boccale a Giacomo che ne afferrò con fatica l’impugnatura per gustare la sua birra preferita, quella scura.
«Salute!» Stefano ne trangugiò una buona metà in un solo sorso, mentre l’altro lo guardava con amarezza.
«Scusi» due ragazze urtarono inavvertitamente la sedia a rotelle di Giacomo per raggiungere la cassa del pub, facendo rovesciare un po’ di birra sulla polo dell’uomo.
«L’hanno fatto apposta per attirare la tua attenzione» sorrise Stefano.
«Ovviamente.» L’amico si era alzato per aiutare Giacomo a pulire la maglia, ma quest’ultimo con un gesto brusco l’aveva allontanato.
Un silenzio imbarazzato si frappose tra i due.
«E stavolta dove vuoi che vada?» chiese Stefano, preoccupato, guardando nel fondo del boccale ormai vuoto.
Il suo interlocutore lo guardò fisso negli occhi, pensoso.
Tutto era iniziato quel famoso 23 maggio di dieci anni prima, sulla Via Emilia, tra Piacenza e Codogno, di ritorno da un locale. Una questione di precedenze, nel buio di una notte in cui tutti avevano bevuto. Era il compleanno di Giacomo. «Guido io. Oggi è la tua festa.» Stefano aveva spostato Giacomo dal posto di guida e aveva messo in moto la macchina. Dopo pochi chilometri la piccola Rover si era schiantata contro il guard rail riducendosi in un ammasso informe di lamiere.
Nella sala d’aspetto dell’ospedale, un medico aveva espresso subito il suo verdetto sulle condizioni di Giacomo: «Se la caverà, ma non so in che modo» mentre Stefano, che aveva riportato solo una piccola escoriazione sul viso, urlava tutta la sua disperazione.
Nel pub una band aveva cominciato a suonare, mentre Stefano aspettava con angoscia la risposta alla sua domanda.
«Ti è piaciuto il Mar Morto, no?» gli chiese Giacomo con finta indifferenza.
«Sì…» Stefano invece sembrava sui carboni ardenti.
Ricordava quando era tornato da quel viaggio, stremato. Con un carico di taniche di acqua salata su quel piccolo camion che aveva noleggiato in Giordania, dato che in aereo ne era vietato il trasporto. Gli tornava alla mente la strana cerimonia con cui aveva dovuto riempire la vasca di Giacomo con quell’acqua tanto preziosa. E tutto questo solo per fargli provare la sensazione del galleggiamento.
Per non parlare poi di quando l’aveva mandato in tutti i bordelli di Bangkok con un piccolo registratore, per fargli sentire tutti i suoni dei luoghi più infernali del mondo.
Giacomo, avidamente, ascoltava tutti i particolari più eccitanti di tutto quello che l’amico aveva visto.
«Sì, lei usava un serpente per lo spettacolo.»
«Vivo?»
«Sì, vivo»
Tre anni prima era stato a Dubai, sul Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo, proprio lui che soffriva paurosamente di vertigini.
«Cosa hai provato?» gli aveva chiesto Giacomo
«Sentivo come se lo stomaco si fosse staccato dal resto del corpo. Tutto mi girava vorticosamente attorno e gli altri grattacieli sembravano piegarsi a terra»
«E le persone, le macchine?»
«Non le vedevo nemmeno, oppure erano solo puntini appena colorati»
Sentendosi in colpa, Stefano non aveva avuto il coraggio di andarlo a trovare nel centro di riabilitazione per diversi mesi. Giacomo non gli aveva chiesto nessun risarcimento per il danno subito e questo aumentava il suo malessere interiore. L’assicurazione aveva provveduto a tutte le spese per le cure. Ma Stefano avrebbe preferito pagare pur di dormire finalmente in pace, come non era più riuscito a fare.
Quando lo vide per la prima volta dopo l’incidente, Giacomo era solo un mucchio di ossa raggomitolate in un letto, il volto deformato in una smorfia senza fine.
«Come…» non riusciva nemmeno a parlargli.
«Come sto?» per la prima volta aveva udito quella voce nuova, dal suono metallico, che d’allora in avanti gli avrebbe parlato solo con tono di comando.
Stefano si mordeva le labbra per non mettersi ancora a piangere, mentre le infermiere trasferivano l’invalido dal letto alla poltrona:
«Sapessi come mi dispiace!» si prese la testa tra le mani.
Fuori c’era Donatella che lo aspettava. La sua ragazza. Era stata lei a dargli la forza di andarlo a trovare.
«C’è anche Donatella?» aveva chiesto Giacomo. Da ragazzi anche a Giacomo piaceva Donatella, Stefano l’aveva sempre sospettato. Ma quando si erano messi insieme Giacomo non aveva battuto ciglio. Erano grandi amici e esisteva sempre tra di loro un patto segreto di non interferenza, in fatto di donne.
E pensare che Giacomo era sempre stato il più bello dei due. Le donne gli cadevano ai piedi come le mosche. Ne cambiava una ogni due o tre mesi. Era un po’ un maledetto, non si capiva mai cosa pensasse veramente, il che piaceva a tutte tranne che a Donatella.
Stefano invece era quello schivo, il solitario, né bello né brutto. Quello serio di cui ci si poteva sempre fidare.
«Anche stavolta non mi deludere» questa frase riportò Stefano nel presente. La frase magica con cui Giacomo riusciva sempre ad ottenere da Stefano tutto quello che voleva, quella che scatenava in lui i sensi di colpa che non l’avevano mai abbandonato.
«Non lo farei mai» e mentre l’ultimo goccio di birra scivolava nel suo esofago, l’uomo si preparava con apprensione ad ascoltare l’ennesima sconcertante richiesta.
Guardandolo negli occhi, Giacomo gli disse con noncuranza: «Voglio pubblicare un libro ambientato in Sudan»
Negli anni di infermità, grazie ad un apposito programma di audioscrittura, aveva riscosso un enorme successo con una serie di romanzi d’avventura a sfondo esotico. I giornali lo avevano definito il nuovo Salgari: “come l’autore di Sandokan anche Giacomo Spaziani, senza essersi mai mosso da casa, descrive con straordinaria maestria luoghi mai visti”.
«Proprio in Sudan?! Uno dei luoghi sconsigliati da tutte le agenzie di viaggi del mondo! C’è la guerra civile.» A Stefano cominciò ad imperlarsi la fronte di sudore freddo.
Nessuno era a conoscenza che tutte le sue storie di Giacomo gli erano state raccontate dall’amico, che ne era stato testimone, come quella dell’incantatore di serpenti innamorato dell’attrice di Bollywood o quella dell’elicotterista cocainomane che lo aveva fatto precipitare nella foresta amazzonica. Per fortuna senza gravi conseguenze. Se i suoi lettori lo avessero saputo! Ma questo, purtroppo, era stato il loro Patto.
Stefano si alzò in piedi esasperato: «Ascoltami Giacomo. Sono dieci anni che ti accontento, che faccio tutto quello che vuoi… però ora sono stanco e ti prego di lasciarmi finalmente libero. Non posso continuare cosi: vorrei sposarmi con Donatella, mettere su famiglia. Non posso più correre questi rischi per te.»
Giacomo scosse appena il capo, gli occhi persi in uno spazio lontano.
“Te lo ripeto. Non mi deludere.” E con il comando vocale allontanò la carrozzina dal tavolo.
“Portami a casa. Domani ti farò avere il biglietto aereo, i soldi, le mappe e tutte le tappe che ti ho organizzato via internet. Dormirai in tenda stavolta.”
Mentre appoggiava l’amico sul sedile anteriore della sua auto, Stefano sentì dentro di sé un impulso irrefrenabile di liberarsi definitivamente di lui, per togliersi da quel giogo.
Avrebbe voluto ucciderlo. Sarebbe bastato scaraventarlo fuori dalla macchina in corsa. Scacciò questo pensiero, di cui si vergognò subito e pensò che sarebbe stato sufficiente infrangere finalmente il Patto. Nessuno lo aveva mai obbligato. A parte il senso di colpa che lo opprimeva.
«Non ti ho chiesto neanche un soldo, né lo farò mai» gli aveva detto all’epoca Giacomo, nel centro di riabilitazione, «Voglio solo che per quindici giorni all’anno tu faccia tutto quello che voglio.».
Parlava come in trance e senza tradire nessuna emozione. Era diventato arido e insensibile. Le uniche emozioni le trasferiva sui suoi libri. Che erano quelle di Stefano, non le sue.
«Stavolta non vado» disse a mezza voce il guidatore. Giacomo, seppure a fatica, con una mano spostò bruscamente il volante facendo sbandare paurosamente la macchina.
«Ma sei matto? » Stefano fermò il mezzo in una piazzola, ansimando.
«Come quella notte…Ti ricordi vero di quella notte…» la voce metallica di Giacomo ripeteva cantilenando queste pesantissime parole.
«Basta, basta!» Stefano, urlando per l’esasperazione, rimise in moto e ricondusse Giacomo a casa. Un infermiere lo attendeva sulla porta per aiutarlo.
«Ma è l’ultima volta!» gli urlò dal finestrino, mentre Giacomo non si voltava nemmeno per salutarlo.
Dieci giorni dopo.
Quando la guida araba entrò nella tenda, Stefano stava esaurendo il contenuto dell’ultima borraccia d’acqua potabile.
«A cinque chilometri da qui c’è un’epidemia di Ebola» scriveva Stefano a Giacomo utilizzando il suo pc portatile connesso ad internet con una chiavetta. «Come mi avevi ordinato non sono in contatto con nessuno che non sia del luogo. L’unico che parla inglese è Muhammad, la guida. Siamo circondati dai guerriglieri. Non so per quanto tempo riuscirò a comunicare. L’acqua si sta esaurendo. Mai come stavolta hai messo la mia vita in pericolo. E per cosa poi? Non posso vivere al tuo posto! Nessuno può farlo! Se mi succedesse qualcosa, racconta tutto a Donatella e dille che l’amo. Non le ho mai detto del nostro Patto: non volevo coinvolgerla. Lei crede che sia a fare il mio solito master aziendale in Inghilterra. Sta entrando qualcuno…Aiuto! Chiama il Ministero degli Esteri. Chiama qualcuno. Subito!»
«Cosa stai leggendo?» Donatella si avvicinò a Giacomo chino sul computer portatile che riusciva a comandare con un movimento dell’occhio.
«Niente» rispose «Sto correggendo le ultime battute del mio nuovo libro» e, con un velocissimo copia e incolla, estrapolò qualche frase dalla mail, nascondendo il nome del mittente.
«Siamo circondati dai guerriglieri…» lesse Donatella. «E’ fantastico come tu riesca sempre a rendere queste immagini e queste atmosfere senza averle vissute in prima persona. Ma come fai? »
Giacomo volse il volto deformato verso di lei. «Fantasia», rispose, con voce un po’ metallica.
«Me lo diceva sempre Stefano che a scuola eri molto bravo, che le insegnanti delle altre classi volevano leggere i tuoi temi»
«Troppo buono, Stefano. A proposito, dov’è?» Giacomo spense il computer con un battito di ciglia.
«In Inghilterra, al suo solito master. Prima di partire mi ha raccomandato di venirti a trovare almeno una volta alla settimana, come fa sempre lui. Sai quanto ci tiene a te.» Donatella gli mise una mano sulla spalla. «D’altronde non ha bisogno di dirmelo. Se non ci fosse lui ci sarei sempre io a prendermi cura di te.»
Da un angolo della bocca di Giacomo partì un sorriso luciferino.
«Scusa un attimo» le disse mentre con un altro comando si spostava in un’altra sala.
Riaccese il computer dove comparve una scritta disperata: «Aiutami Giacomo! Rispondimi. Sento esplodere bombe, stanno per venirci a prendere. Ho paura! NON MI DELUDERE. »
Con il comando dell’occhio iniziò a digitare la mail:«No, che non ti deludo. Avevi espresso il desiderio che questo fosse il tuo ultimo viaggio no? E io ti esaudisco. Fino in fondo rispetto il nostro Patto»
“Sento esplodere bombe, stanno per venirci a prendere. Ho paura! Non mi deludere! FINE”
«Bellissimo finale!» esclamò ammirata Donatella riempiendogli il boccale di birra scura.
«Salute!» brindò Giacomo.


Giusy Càfari Panìco