venerdì 30 dicembre 2011

2011...i giorni più belli

Questo è sicuramente il mo ultimo post dell'anno... un anno molto strano.
Sono stata molto molto felice in certi periodi, altre volte mi sono lasciata prendere dallo scoramento, in altri dalla ribellione, in altri dall'abulia.
Dovendo fare un grafico sarebbe molto discontinuo... ma è la vita, bella proprio perché non lineare: sembra sempre di essere in un ottovolante.
La primavera è stata indimenticabile... fin dal primo giorno, tiepido e colorato di libertà, che ricordo con grande nitidezza.
Quest'anno ho avuto la fortuna di partecipare ad avvenimenti di diverso genere (tutte le splendide iniziative della Pegasus, primo tra tutti il Concorso di Cattolica,  poi il Mystfest, la fiera dell'editoria abruzzese, I racconti nella rete...) ma in questi giorni ho negli occhi la giornata  dedicata alla mia adorata poetessa EBB (Elizabeth Barrett Browning).
.
E' stato talmente emozionante ripercorrere le sue tracce, respirare la sua aria, le sue emozioni, per ritrovarmi ad accarezzare le sue mani intrecciate con quelle di Robert nella splendida Casa Guidi di Firenze..
Difficile da spiegare.

Proprio a Firenze, una mattina d'aprile, di nascosto, ho scritto una poesia che non ho mai pubblicato né fatto leggere a nessuno, ispirata a Elizabeth e Robert, se per un giorno si fossero incarnati dentro i corpi di esseri umani del nostro tempo... Un giorno perfetto.
Chissà che non sia successo veramente, sia pure per un giorno delle loro vite...
Per un giorno solo, probabilmente. Ma che importa?
Volevo leggerla a Firenze, il 29 giugno, durante l'iniziativa delle Poetesse d'Italia,  ma non ne ho avuto il coraggio.

Il mio augurio è di tornare felice come ero quel giorno.
Magari in modo diverso, perché ogni momento di felicità è come un prezioso cristallo che guai se fosse identico a un altro.

E auguro a me stessa di ritrovare il coraggio di andarmela a riprendere, ovunque si trovi, in qualunque luogo, in ogni occasione che la vita mi offre, in ogni anfratto del tempo e dello spazio.
Con il coraggio di esternare i sentimenti  e le passioni, con la forza vitale  della mia amatissima Elizabeth, che non aveva mai paura di essere se stessa. E di non frenare mai sentimenti, passioni, parole... come capita a me e a tutti.



E anche per voi, giusynauti... il mio augurio è quello di sconfiggere le paure e di trovare coraggio.
Di lasciarsi il passato alle spalle, dopo averlo affrontato, senza rinnegarlo.
Di vivere pienamente il presente senza risparmiare energie.
Di pensare il futuro come un altrove che diventerà la nostra terra promessa.
Di trovare sempre il coraggio di vivere, di affrontare ogni sfida, di guardare in faccia la verità e di mostrarla a tutti, di inseguire se stessi anche quando sembra di essere persi in un labirinto senza fine.
Di accogliere il nuovo, quando lo merita. Di non fare troppi calcoli, perché a farne troppi poi si finisce a ridurre la propria vita un freddo bilancio bancario.
Di non essere troppo ordinati o troppo coerenti. La vita non è un archivio perfetto o un sillogismo aristotelico.
Di andare oltre alle apparenze, oltre la logica, oltre le convenzioni... senza mai perdere nessuna parte di noi.
Di non permettere a nessuno di toglierci nemmeno una parte della nostra identità.

A nessuno.


Di avere tanti giorni perfetti, anche se non è possibile... allora per il 2012 ve ne auguro almeno uno.
A volte basta per tutta una vita. Buon 2012!



Il giorno perfetto


E’ il giorno perfetto.
Chissà quanto durerà?
Due vite di sicuro,
le nostre.

Non avrò più pietà
della farfalla
per la sua breve esistenza
in cui cresce, ama e vola
e intinge la sua anima
nei colori dell’universo,
bevendone tutto il nettare.

Chissenefrega
se domani morirà…

Non importa più
 nemmeno a me,
persa con te
in questa bolla di felicità,
tanto grande
da imprigionare il tempo.

GCP






















A tutti  auguro un 2012  in cui abbiate una mano, o tante mani, con cui intrecciare le vostre vite, i vostri dolori,ma sopratttutto le vostre gioie.
Ciao...

domenica 25 dicembre 2011

Buon Natale!

Cari amici, cari Giusynauti ;),
per festeggiare il Natale sono andata a tirar fuori un mio vecchissimo racconto, molto ingenuo e acerbo, scritto per i bambini, che riporta i ricordi del mio Natale di ragazzina..
E' la storia del mio presepio, di cui andavo orgogliosissima, e dei miei angioletti, che conservo ancora tra i miei tesori più preziosi. Spero di non annoiarvi e ve lo ripropongo...
Buon Natale!




 UN PRESEPE , UN NATALE

La neve artificiale, fatta con la farina, imbiancava le montagne del presepe. I tre Re Magi sui loro sontuosi cammelli percorrevano la prateria verde piena di muschio, nascondendo nelle bisacce oro, incenso e mirra.
Carlotta, ventitré chili di vivacità e dolcezza, sapeva che il presepe va costruito con passione, che ci vuole del tempo per renderlo davvero speciale. Ma soprattutto che bisogna farlo con tanto amore, altrimenti non potrà mai incominciare la grande magia del presepe di Natale.
Prima di tutto il cielo stellato, le aveva insegnato la nonna. Un cielo né troppo chiaro, né troppo buio. Luminoso e pieno di stelle, come è il cielo in campagna a mezzanotte. Bisogna incollarlo a un cartone, come uno scenario. E poi bisogna costruire le fondamenta, con tanta pazienza : stendere qualche vecchio giornale in terra, appoggiarci la carta verde, non quella liscia, altrimenti le pecorelle scivolerebbero a gambe all’aria come su un pavimento di cera. Ci vuole il terreno da presepe, che si vende a metratura, aspro e graffiante come la carta vetrata.
Carlotta era diventata grande, e quell’anno aveva avuto l’onore di deporre la Capanna. L’aveva sollevata dalla scatola degli addobbi di Natale con solennità e, seria seria, l’aveva deposta al solito posto, nell’angolino sinistro della prateria.
Ma le montagne, quelle no, non era abbastanza  adulta per crearle. Ci voleva la fantasia e la grande maestria della mamma.
Carlotta, a bocca aperta, vedeva la mamma accartocciare la carta striata verde e marrone, stringerla forte tra le mani fino a farla diventare uno straccio e poi, come per incanto la carta, lasciata andare, era diventata un susseguirsi di cime tonde o appuntite e di piccoli calanchi. La mamma sistemava la montagna più grande dietro la Capanna, la bombava un po’ per renderla maestosa, poi faceva digradare i rilievi.
Carlotta  aveva sistemato la piccola città che le aveva regalato il nonno proprio dove le montagne stavano per giungere in pianura, poi aveva posato il ponticello, sempre più smozzicato dal tempo. La nonna aveva tagliato un pezzetto di carta d’alluminio per ricoprire i dolci e lo aveva trasformato in un laghetto da mettere sotto il ponte e dove mettere subito gli anatroccoli e i piccoli cigni, che erano appartenuti alla mamma da bambina.
La bambina si era sentita come il Signore nei giorni della Creazione. Tutto era pronto : le stelle, la terra, l’acqua, le montagne... mancavano solo gli esseri viventi. Da dove cominciare ? Carlotta lo sapeva : era lei adesso che era investita dell’onore di sistemare le statuine e sentiva un grande senso di responsabilità.
Il primo ad entrare era sempre l’asino, grigio e bruttino, ma già pronto a scaldare il Bambinello, insieme al bue, che Carlotta sistemò subito dopo. Ed ecco Gesù Bambino, tenero e bellissimo  nella mangiatoia gialla, con gli occhi vispi quasi come i suoi, che sembravano guardarla e ammonirla. - Sarò buona Gesù Bambino, te lo prometto, giurava Carlotta deponendolo nella Capanna. E poi la Madonnina, a braccia aperte, con il sorriso dolce e il manto azzurro. E il buon Giuseppe, vestito di marrone, con una lucerna in mano ed il bastone.
Il più era fatto, oramai. I Re Magi bisognava farli partire dal fondo, perché dovevano arrivare solo il giorno dell’Epifania, meglio metterli vicino alla palma. E gli altri ? Il pastore biondo ricciolino, doveva essere il primo ad arrivare da Gesù, seguito dalle sue pecorelle e dagli altri pastori con i loro greggi. Carlotta si ostinava a voler mettere le pecorelle anche sul ponticello, ben sapendo che era così sconnesso che ogni tanto se ne cadevano in acqua con gli anatroccoli.
E poi il vecchietto delle caldarroste, il fornaio, l’arrotino, la vecchietta che filava la lana, i viandanti sul somarello, i due bevitori che brindavano alle porte della città, la donnina che portava in dono la frutta, quella che reggeva l’anfora sulla testa... In men che non si dica le quaranta statuette che da generazioni si erano accumulate nella scatola del presepe avevano trovato il loro posto, sempre lo stesso, quasi loro stesse indicassero alla mano di Carlotta o di sua madre dove volevano essere appoggiate.
La nonna aveva messo il muschio sul terreno. La mamma era andata in cucina e le aveva consegnato uno scolino pieno di farina, con cui doveva imbiancare il presepe.
Era la cosa che Carlotta amava di più. Poggiava la manina sui buchini avanti e indietro ed ecco scendere la neve sulle case, sulle cime dei rilievi, sulla povera Capanna, persino sulla palma e sulle teste dei Re Magi, rendendo il paesaggio fiabesco e soprannaturale.
Si era stiracchiata, era già un ora che stavano lavorando !
Ma mancavano le sue statuine preferite, i suoi angioletti. Quello azzurro lo aveva chiamato Gabriele, quello rosa Raffaele, come gli arcangeli. Avevano le stesse faccine che erano scolpite sulla sua catenina del battesimo. Erano gli angeli di Raffaello, le aveva spiegato la mamma ; erano veramente belli e adorabili, con le ali dorate, e portavano nelle mani una stoffa bianca con scritto .
La posa degli angeli era il momento più buffo per Carlotta, perché bisognava sistemare Gabriele e Raffaele in modo che sovrastassero la Capanna, ma non era possibile usare fili o incollarli da qualche parte, così ci voleva un trucco magico.
All’ingresso della Capanna c’era un piccolo albero inaridito, senza foglie, con solo qualche rametto. Carlotta aveva imparato dalla mamma a mettere il povero Gabriele in bilico, incastrato nel piccolo intrico dell’albero. Un piedino nudo appoggiato su un rametto, la manina al tronco. Doveva cascare cinque o sei volte prima che riuscisse a rimanere stabile e miracolosamemente sospeso nell’aria. Raffaele dava meno problemi e si accontentava di appoggiarsi ad un calanco della montagna.
Quando Carlotta , alla fine, posava sul tetto della Capanna la stella cometa, la nonna le  diceva - Brava !- e lei si sedeva per terra ipnotizzata dal suo piccolo capolavoro.
Carlotta guardava e guardava. Ogni tanto le sembrava di entrare nel bellissimo mondo che aveva creato e a volte parlava al vecchietto delle caldarroste, per chiedergli se c’era veramente tanto freddo e se il fuoco lo scaldava a sufficienza. Il caldarrostaio le era grato per l’interesse : nessuno lo teneva in considerazione, brutto e vecchio com’era e per ringraziarla le aveva regalato una castagna che si era mangiata di nascosto dalla mamma.
Al bel pifferaio aveva dichiarato il suo amore e lui aveva zufolato per lei tutte le sue più belle melodie. Una volta aveva un po’ stonato e le pecorelle del bel ricciolino erano cadute nel lago per lo spavento, ma Carlotta le aveva salvate.
La signora con l’anfora le aveva fatto assaggiare il suo vino e i due bevitori le avevano raccontato una barzelletta. - Siamo qui da tanti anni- le avevano detto. - Se non ci si fa quattro risate...-
I Re Magi erano un po’ scorbutici, ma si sa, erano dei nobili e poi erano quelli che si dovevano spostare di più, attraversare tutta la prateria, sgomitare tra le pecore e gli altri pellegrini per arrivare da Gesù.
Di Gesù , di sua mamma e di suo papà, aveva un po’ soggezione e non parlava mai con loro. Gabriele, invece era un chiacchierone e si lamentava di essere costretto a fare l’equilibrista. Un giorno l’aveva portata a fare un bellissimo giro appoggiata sulle sue ali e da lassù aveva salutato tutti, anche la Madonnina che le aveva rivolto un cenno gentile con la mano.
Il giorno di Natale si faceva coraggio e, mettendosi in coda, dietro gli altri, andava da Gesù Bambino e gli baciava un piedino.
- Carlotta- gli diceva la Madonnina - qualunque cosa succeda, non ci dimenticare mai, non scordarti mai di farci entrare nella tua casa.
Ma erano venuti anni bui e tutti, Gabriele, il ricciolino, il bue erano rimasti in soffitta chiusi nella scatola, anno dopo anno.
Ma un giorno tornò il sole e Carlotta, sessanta chili di vivacità e di dolcezza, riaprì la scatola.
Gabriele le volò attorno arrabbiato e le disse che si doveva consultare con gli altri per decidere se perdonarla di essersi dimenticata di loro.
Il consulto durò parecchio e Carlotta temette di non potere più avere il dono della compagnia dei suoi amici. L’amicizia va coltivata, non può essere rovinata dall’oblio e dalle vicende della vita.
Versò una piccola lacrima che cadde - Pluff !- sul piedino del Bambinello.
Quando si asciugò gli occhi vide che il presepe si era creato da solo, uguale a come l’aveva sempre fatto. O forse era stata lei a farlo ancora una volta, con una tale disinvoltura e rapidità che sembrava si costruisse da solo.
- Bentrovata Carlotta - dissero in coro Gabriele e Raffaele, mentre dalle lacrime di lei sorgeva, come un alba dopo una notte buia, il suo più bel sorriso. - Buon Natale ! - rispose.

GCP, tanti anni fa






giovedì 8 dicembre 2011

Il cielo cambia e porta con sé chi lo guarda...


Erano mesi che non vedevo le scie nel cielo. A me piacciono tanto. 
Si sono date appuntamento tutte insieme sopra la mia casa, stamattina.
Così i miei pensieri sono volati lontano, forse troppo lontano... ma è lo stesso. 
Non posso frenarli. Nessuno può farlo, credo. 
Io a volte ci provo, ci provo con tenacia.
Ma basta un mattino così e riappaiono, mio malgrado.
Così li ho ascoltati e hanno cantato per me. E forse non solo per me...  
Forse anche per chi li "sentiva" o forse li "sente" ancora, ovunque si trovi, chiunque sia ora.
Ma chi lo sa... chissà chi viene qua a cercarmi...a cercarmi so far away...


E il cielo mi ha raccontato questa poesia... che ho scritto tanto tempo fa ma che dedico alle mie scie di oggi, a quelle di ieri e a quelle di domani:

Il cielo cambia in continuazione
Come un caleidoscopio
Stracci bianchi disegnano
Sempre nuovi scenari
E volgendo lo sguardo
In alto
Sembra di essere sempre

In un luogo diverso
In un tempo diverso

Sopra di noi
Si creano infinite combinazioni
E pezzi combacianti
si connettono
In un preciso momento
Chissà per quale scopo.

Un cielo diverso
per emozioni diverse.

Chissà qual è il tuo adesso
e con chi lo stai guardando

Mi sembra ieri 
Quando lo guardavamo
Insieme

Ma il cielo cambia
E porta con sé chi lo guarda.


GCP


lunedì 5 dicembre 2011

UNA PURA FORMALITA' - 6 DICEMBRE IN BIBLIOTECA


Anche quest'anno sono ospite della rassegna della Biblioteca Passerini-Landi "Un film da raccontare". Domani 6 dicembre alle ore 16 in Saletta Balsamo.
Stavolta ho scelto un film... che forse ho visto solo io, ma che ritengo personalmente un capolavoro.
La sceneggiatura che avrei voluto scrivere. Un film onirico, metafisico, di grande spessore umano e psicologico.
Un non luogo, una straniante stazione di polizia in non si sa quale città o nazione, e i protagonisti, quasi sempre in scena: lo scrittore Onoff ( il grandissimo Gérard Dépardieu),  in crisi creativa da anni, che vive in un antico casale (il Casale della Corona) perso in un bosco, lontano dal mondo, accusato di un omicidio ( ma il cadavere non si trova) e il commissario senza nome (un incredibile  e sempre luciferino Roman Polanski in versione attoriale). Sergio Rubini, che interpreta un appuntato, scrive in continuazione un verbale che forse nessuno leggera mai.
E dal tetto della stazione piove, piove, piove...in una notta infinita e angosciante... mentre Onoff insegue i ricordi del giorno prima senza riuscirci, giocando a scacchi con il commissario che,  ironia della sorte, ha letto tutti i suoi libri. E glieli cita in continuazione.
Un climax kafkiano che porta ad un finale a sorpresa, metafisico a angosciante.
Ma chi è davvero Onoff? Come si chiama davvero? E cosa ha fatto?

Depardieu e Polanski ( giganteschi, nella loro interpretazione!)  come Raskolnikov e Porfirii in Delitto e Castigo.
Ma c'è molto di più. Un uomo che si è smarrito... e si ritroverà. Ma DOVE? In quale dimensione?



e chi ha scritto veramente  il suo capolavoro, proprio quando aveva rinunciato a scrivere?



E perché non vuole ricordare? Perché scappa dal mondo...
Ma soprattutto: CHI HA UCCISO?

Un giallo in cui c'è l'assassino ma non la vittima. O forse sono la stessa persona..

E se il morto fosse proprio Onoff!!!

Che sia proprio questo il limbo?  Il Confine. Il luogo dove invece di bere le acque del Lete si bevono quella della Memoria. E la Memoria è Morte o Vita? O forse è solo il ritratto della nostra anima dove convivono accusatori e accusati, o semplici testimoni...

Venitemi a sentire, se volete.

Bellissima la colonna sonora di Morricone, testo di Tornatore, cantata dallo stesso Depardieu.


“Ricordare, ricordare è come un po' morire. Tu adesso lo sai, perché tutto ritorna anche se non vuoi! E scordare, e scordare è più difficile. Ora sai che è più difficile, se vuoi ricominciare. Ricordare, ricordare è come un tuffo in fondo al mare. Ricordare, ricordare quel che c'è da cancellare. E scordare, e scordare... è che perdi cose care. E scordare, e scordare... finiranno gioie rare.



Alcune parole di Onoff, che mi hanno colpito particolarmente ( e chissà perché...)

“sono condannato a scrivere.... perchè quando scrivo è come se bevessi" ...” (Idem)

“si scrive perché non si sa fare altro” ( beh, io non sono sicura di saper fare nemmeno quello ma ci provo)

“Non bisognerebbe mai incontrare i propri miti. Visti da vicino ti accorgi che hanno i foruncoli.Rischi di scoprire che le grandi opere che ti hanno fatto sognare tanto le hanno pensate stando seduti sul cesso, aspettando una scarica di diarrea!"  ( gli scrittori possono essere molto deludenti, me compresa...ammesso che possa definirmi tale)

“Due rette parallele non si incontrano mai. Tuttavia, è possibile immaginare l'esistenza di un punto così lontano nello spazio, ma così lontano nell'infinito, da poter credere e ammettere che le due rette vi si incontrino. Ecco! Chiameremo quel punto, PUNTO IMPROPRIO.” ( questa non è una definizione matematica, ma una vera e propria poesia...)

Grandissimi i doppiatori: Corrado Pani ( Depardieu) e Gullotta che (Polanski).



Nebbia



Nebbia a Piacenza, nel Viale delle Mura, il Facsal


Sembra di essere in una terra di nessuno
quando figure e cose svaporeggiano
nella Nebbia

Non c'è destinazione, né ritorno
anime vaghe si dilatano senza confini
confondendosi con il nulla.

E nulla questa nebbia ti fa sentire.
tra figure indistinte,
 volti senza lineamenti
già spiriti sulla terra
voci afone nel silenzio.

E così è la vita mia
 tra fantasmi
che appaiono e riappaiono
tra sporadici e sbiaditi
sussulti di realtà

GCP


                                                   Albero nebbioso dalla mia finestra