autunno e voglia di tornare... almeno con la fantasia
Perché in montagna
Le curve si chiamano tornanti?
Come me risalgono al passato,
infilandosi nell’ombra fitta
dei castagni bruschi e saggi.
Ogni svolta un diverso mondo
Pochi i rettilinei per arrivare
In cima, nell’antico paese
Nella terra amata da mio padre.
Quanti pianti di bambina
Nel salire e allontanarmi
Dai miei familiari giardini
Protetti dalle case e dal cemento.
Inconfondibile bambina di città,
Porcellana bianca fragile
E timida nelle movenze
Invidiavo le caprette snelle
Che bruciavano salite e pendìi
Mentre io misuravo pavida
I miei piccoli passi cadenzati
Tremando per non cadere,
dimentica del sangue
della nonna che correva a piedi
nudi tra i faggeti.
Ora torno estranea come mai,
senza padre a ricordarmi la strada,
gli anni mi hanno fatto amare
come spesso accade
quello che prima possedevo
senza mai apprezzare.
Sgorga ancora l’acqua fredda
E tagliente dalle
bocche
Muschiose nel paese.
La chiesa e il campanile
Rimpiccioliti in una lente
Alla rovescia suonano il tempo
Lo stesso tempo della mia memoria.
Il torrente sbatte le antiche pietre
Con la stessa forza maschia
Che quasi mi faceva arretrare
E rendere femmina
pudica.
Finalmente sono tornata,
e con te che sai di buono,
di foglie e di legname,
di vino, terra e
sudore.
Le labbra come ribes stanche
Piazza di Civago (RE) di GCP a 10 anni