Cari amici, cari Giusynauti ;),
per festeggiare il Natale sono andata a tirar fuori un mio vecchissimo racconto, molto ingenuo e acerbo, scritto per i bambini, che riporta i ricordi del mio Natale di ragazzina..
E' la storia del mio presepio, di cui andavo orgogliosissima, e dei miei angioletti, che conservo ancora tra i miei tesori più preziosi. Spero di non annoiarvi e ve lo ripropongo...
Buon Natale!
UN PRESEPE , UN NATALE
La neve artificiale, fatta con la farina, imbiancava le montagne del
presepe. I tre Re Magi sui loro sontuosi cammelli percorrevano la prateria
verde piena di muschio, nascondendo nelle bisacce oro, incenso e mirra.
Carlotta, ventitré chili di vivacità e dolcezza, sapeva che il presepe
va costruito con passione, che ci vuole del tempo per renderlo davvero
speciale. Ma soprattutto che bisogna farlo con tanto amore, altrimenti non
potrà mai incominciare la grande magia del presepe di Natale.
Prima di tutto il cielo stellato, le aveva insegnato la nonna. Un cielo
né troppo chiaro, né troppo buio. Luminoso e pieno di stelle, come è il cielo
in campagna a mezzanotte. Bisogna incollarlo a un cartone, come uno scenario. E
poi bisogna costruire le fondamenta, con tanta pazienza : stendere qualche
vecchio giornale in terra, appoggiarci la carta verde, non quella liscia,
altrimenti le pecorelle scivolerebbero a gambe all’aria come su un pavimento di
cera. Ci vuole il terreno da presepe, che si vende a metratura, aspro e
graffiante come la carta vetrata.
Carlotta era diventata grande, e quell’anno aveva avuto l’onore di
deporre la Capanna. L’aveva sollevata dalla scatola degli addobbi di Natale con
solennità e, seria seria, l’aveva deposta al solito posto, nell’angolino
sinistro della prateria.
Ma le montagne, quelle no, non era abbastanza adulta per crearle. Ci voleva la fantasia e
la grande maestria della mamma.
Carlotta, a bocca aperta, vedeva la mamma accartocciare la carta
striata verde e marrone, stringerla forte tra le mani fino a farla diventare
uno straccio e poi, come per incanto la carta, lasciata andare, era diventata
un susseguirsi di cime tonde o appuntite e di piccoli calanchi. La mamma
sistemava la montagna più grande dietro la Capanna, la bombava un po’ per
renderla maestosa, poi faceva digradare i rilievi.
Carlotta aveva sistemato la
piccola città che le aveva regalato il nonno proprio dove le montagne stavano
per giungere in pianura, poi aveva posato il ponticello, sempre più smozzicato
dal tempo. La nonna aveva tagliato un pezzetto di carta d’alluminio per
ricoprire i dolci e lo aveva trasformato in un laghetto da mettere sotto il
ponte e dove mettere subito gli anatroccoli e i piccoli cigni, che erano
appartenuti alla mamma da bambina.
La bambina si era sentita come il Signore nei giorni della Creazione.
Tutto era pronto : le stelle, la terra, l’acqua, le montagne... mancavano
solo gli esseri viventi. Da dove cominciare ? Carlotta lo sapeva :
era lei adesso che era investita dell’onore di sistemare le statuine e sentiva
un grande senso di responsabilità.
Il primo ad entrare era sempre l’asino, grigio e bruttino, ma già
pronto a scaldare il Bambinello, insieme al bue, che Carlotta sistemò subito
dopo. Ed ecco Gesù Bambino, tenero e bellissimo
nella mangiatoia gialla, con gli occhi vispi quasi come i suoi, che
sembravano guardarla e ammonirla. - Sarò buona Gesù Bambino, te lo prometto,
giurava Carlotta deponendolo nella Capanna. E poi la Madonnina, a braccia
aperte, con il sorriso dolce e il manto azzurro. E il buon Giuseppe, vestito di
marrone, con una lucerna in mano ed il bastone.
Il più era fatto, oramai. I Re Magi bisognava farli partire dal fondo,
perché dovevano arrivare solo il giorno dell’Epifania, meglio metterli vicino
alla palma. E gli altri ? Il pastore biondo ricciolino, doveva essere il
primo ad arrivare da Gesù, seguito dalle sue pecorelle e dagli altri pastori
con i loro greggi. Carlotta si ostinava a voler mettere le pecorelle anche sul
ponticello, ben sapendo che era così sconnesso che ogni tanto se ne cadevano in
acqua con gli anatroccoli.
E poi il vecchietto delle caldarroste, il fornaio, l’arrotino, la
vecchietta che filava la lana, i viandanti sul somarello, i due bevitori che
brindavano alle porte della città, la donnina che portava in dono la frutta,
quella che reggeva l’anfora sulla testa... In men che non si dica le quaranta
statuette che da generazioni si erano accumulate nella scatola del presepe
avevano trovato il loro posto, sempre lo stesso, quasi loro stesse indicassero
alla mano di Carlotta o di sua madre dove volevano essere appoggiate.
La nonna aveva messo il muschio sul terreno. La mamma era andata in
cucina e le aveva consegnato uno scolino pieno di farina, con cui doveva
imbiancare il presepe.
Era la cosa che Carlotta amava di più. Poggiava la manina sui buchini
avanti e indietro ed ecco scendere la neve sulle case, sulle cime dei rilievi,
sulla povera Capanna, persino sulla palma e sulle teste dei Re Magi, rendendo
il paesaggio fiabesco e soprannaturale.
Si era stiracchiata, era già un ora che stavano lavorando !
Ma mancavano le sue statuine preferite, i suoi angioletti. Quello
azzurro lo aveva chiamato Gabriele, quello rosa Raffaele, come gli arcangeli.
Avevano le stesse faccine che erano scolpite sulla sua catenina del battesimo.
Erano gli angeli di Raffaello, le aveva spiegato la mamma ; erano
veramente belli e adorabili, con le ali dorate, e portavano nelle mani una
stoffa bianca con scritto .
La posa degli angeli era il momento più buffo per Carlotta, perché
bisognava sistemare Gabriele e Raffaele in modo che sovrastassero la Capanna,
ma non era possibile usare fili o incollarli da qualche parte, così ci voleva
un trucco magico.
All’ingresso della Capanna c’era un piccolo albero inaridito, senza
foglie, con solo qualche rametto. Carlotta aveva imparato dalla mamma a mettere
il povero Gabriele in bilico, incastrato nel piccolo intrico dell’albero. Un
piedino nudo appoggiato su un rametto, la manina al tronco. Doveva cascare
cinque o sei volte prima che riuscisse a rimanere stabile e miracolosamemente
sospeso nell’aria. Raffaele dava meno problemi e si accontentava di appoggiarsi
ad un calanco della montagna.
Quando Carlotta , alla fine, posava sul tetto della
Capanna la stella cometa, la nonna le
diceva - Brava !- e lei si sedeva per terra ipnotizzata dal suo
piccolo capolavoro.
Carlotta guardava e guardava. Ogni tanto le sembrava
di entrare nel bellissimo mondo che aveva creato e a volte parlava al
vecchietto delle caldarroste, per chiedergli se c’era veramente tanto freddo e
se il fuoco lo scaldava a sufficienza. Il caldarrostaio le era grato per
l’interesse : nessuno lo teneva in considerazione, brutto e vecchio
com’era e per ringraziarla le aveva regalato una castagna che si era mangiata
di nascosto dalla mamma.
Al bel pifferaio aveva dichiarato il suo amore e lui
aveva zufolato per lei tutte le sue più belle melodie. Una volta aveva un po’
stonato e le pecorelle del bel ricciolino erano cadute nel lago per lo
spavento, ma Carlotta le aveva salvate.
La signora con l’anfora le aveva fatto assaggiare il
suo vino e i due bevitori le avevano raccontato una barzelletta. - Siamo qui da
tanti anni- le avevano detto. - Se non ci si fa quattro risate...-
I Re Magi erano un po’ scorbutici, ma si sa, erano
dei nobili e poi erano quelli che si dovevano spostare di più, attraversare
tutta la prateria, sgomitare tra le pecore e gli altri pellegrini per arrivare
da Gesù.
Di Gesù , di sua mamma e di suo papà, aveva un po’
soggezione e non parlava mai con loro. Gabriele, invece era un chiacchierone e
si lamentava di essere costretto a fare l’equilibrista. Un giorno l’aveva
portata a fare un bellissimo giro appoggiata sulle sue ali e da lassù aveva
salutato tutti, anche la Madonnina che le aveva rivolto un cenno gentile con la
mano.
Il giorno di Natale si faceva coraggio e, mettendosi
in coda, dietro gli altri, andava da Gesù Bambino e gli baciava un piedino.
- Carlotta- gli diceva la Madonnina - qualunque cosa
succeda, non ci dimenticare mai, non scordarti mai di farci entrare nella tua
casa.
Ma erano venuti anni bui e tutti, Gabriele, il
ricciolino, il bue erano rimasti in soffitta chiusi nella scatola, anno dopo
anno.
Ma un giorno tornò il sole e Carlotta, sessanta
chili di vivacità e di dolcezza, riaprì la scatola.
Gabriele le volò attorno arrabbiato e le disse che
si doveva consultare con gli altri per decidere se perdonarla di essersi
dimenticata di loro.
Il consulto durò parecchio e Carlotta temette di non
potere più avere il dono della compagnia dei suoi amici. L’amicizia va
coltivata, non può essere rovinata dall’oblio e dalle vicende della vita.
Versò una piccola lacrima che cadde - Pluff !-
sul piedino del Bambinello.
Quando si asciugò gli occhi vide che il presepe si
era creato da solo, uguale a come l’aveva sempre fatto. O forse era stata lei a
farlo ancora una volta, con una tale disinvoltura e rapidità che sembrava si
costruisse da solo.
- Bentrovata Carlotta - dissero in coro Gabriele e
Raffaele, mentre dalle lacrime di lei sorgeva, come un alba dopo una notte
buia, il suo più bel sorriso. - Buon Natale ! - rispose.
GCP, tanti anni fa