Il Tascapane, scritto da me e da mio marito Corrado Calda, è approdato a Lucca, la terra d'origine di Ungaretti.
E' accaduto l'8 aprile al Teatro San Girolamo. E' stato emozionante riportare "Unga" nella sua patria.
Il grande poeta infatti pur essendo nato ad Alessandria d'Egitto era di sangue lucchese.
Qui sopra il regista, mio marito Corrado in posa scherzosa con l'uniforme di uno dei protagonisti, Roberto Aielli-
Alle mie emozioni unisco quelle dell'amica Adelaide Roscini di cui riporto l'intervento e che ringrazio per le belle parole spese!
Sono molti i valori da poter attribuire alla parola. Può persuadere, può indignare, può meravigliare.
Può essere o meno compresa, interpretata, fraintesa. Si è a lungo dibattuto, da un punto di vista filosofico e semiologico, sulla sua definizione e sul suo utilizzo. Il dibattito su di essa affonda profondissime radici, interessanti ed appassionanti. Poche volte, tuttavia, si è riflettuto invece sul valore che la parola ha nel momento in cui viene cercata, nel processo col quale viene collegata al pensiero ed al sentimento e pian piano esce e tira fuori quel che è nascosto dentro. Ciò che è celato o magari confuso fra un insieme disordinato di stati d’animo e che solo la parola, quella parola adeguata, riesce a descrivere. È interessante indagare su di essa come desiderio di mettere in forma un sentire, sull’impulso che la lascia uscire, pronunciare, scrivere. In questo senso la parola è un lusso, qualora la si legga come chiave: giacché esprimersi non vuole dire solamente usare parole. È dunque il lusso di chi ne ha facoltà, anzitutto, e di chi non pensi ad essa solo come una conchiglia vuota: bella, accattivante, musicale, ma priva di un legame col senso. La parola può esser vuota, sì, può esser strumento di divertimento e gioco. Ma nel momento in cui la definiamo lusso e prerogativa di pochi, possiamo anche individuare chi l’abbia saputa tenere come un prezioso gioiello. Pregnante, utile, efficace. Ed è chi l’ha sentita e percepita nel suo valore vitale e come strumento di salvezza. Senza alcun dubbio si tratta di molti scrittori e poeti e, certamente, di Giuseppe Ungaretti.
Può essere o meno compresa, interpretata, fraintesa. Si è a lungo dibattuto, da un punto di vista filosofico e semiologico, sulla sua definizione e sul suo utilizzo. Il dibattito su di essa affonda profondissime radici, interessanti ed appassionanti. Poche volte, tuttavia, si è riflettuto invece sul valore che la parola ha nel momento in cui viene cercata, nel processo col quale viene collegata al pensiero ed al sentimento e pian piano esce e tira fuori quel che è nascosto dentro. Ciò che è celato o magari confuso fra un insieme disordinato di stati d’animo e che solo la parola, quella parola adeguata, riesce a descrivere. È interessante indagare su di essa come desiderio di mettere in forma un sentire, sull’impulso che la lascia uscire, pronunciare, scrivere. In questo senso la parola è un lusso, qualora la si legga come chiave: giacché esprimersi non vuole dire solamente usare parole. È dunque il lusso di chi ne ha facoltà, anzitutto, e di chi non pensi ad essa solo come una conchiglia vuota: bella, accattivante, musicale, ma priva di un legame col senso. La parola può esser vuota, sì, può esser strumento di divertimento e gioco. Ma nel momento in cui la definiamo lusso e prerogativa di pochi, possiamo anche individuare chi l’abbia saputa tenere come un prezioso gioiello. Pregnante, utile, efficace. Ed è chi l’ha sentita e percepita nel suo valore vitale e come strumento di salvezza. Senza alcun dubbio si tratta di molti scrittori e poeti e, certamente, di Giuseppe Ungaretti.
Egli affermò: “Ho sempre distinto tra vocabolo e parola e credo che la distinzione sia del Leopardi. Trovare una parola significa penetrare nel buio abissale di sé, senza turbare né riuscire a conoscerne il segreto.”
È interessante vedere come questo suo intendere la parola si sia davvero fatto strada attraverso l’ opera poetica. Fondamentale è quel che scrisse in trincea, quando, da giovane interventista, durante la Prima Guerra Mondiale, percepì il bisogno di dar voce allo stato d’animo terribile in cui sentivano d’essere, lui e i suoi compagni d’avventura. Ci si rende conto dell’esigenza. In questa urgenza, in un momento in cui la morte accompagna la vita, in bilico, solo le parole scritte su pezzi di carta di fortuna e involucri di cartucce, sono state consolazione e motivo per andare avanti.
È interessante vedere come questo suo intendere la parola si sia davvero fatto strada attraverso l’ opera poetica. Fondamentale è quel che scrisse in trincea, quando, da giovane interventista, durante la Prima Guerra Mondiale, percepì il bisogno di dar voce allo stato d’animo terribile in cui sentivano d’essere, lui e i suoi compagni d’avventura. Ci si rende conto dell’esigenza. In questa urgenza, in un momento in cui la morte accompagna la vita, in bilico, solo le parole scritte su pezzi di carta di fortuna e involucri di cartucce, sono state consolazione e motivo per andare avanti.
Ad accorgersi di tale urgenza e dare supporto a questa idea di parola, è lo spettacolo teatrale che, proprio attraverso la parola, vuole ricordare, far riflettere e emanare bellezza con la storia e la poesia di Ungaretti. Ci riferiamo a “Il Tascapane”, opera teatrale scritta e diretta da Corrado Calda e Giusy Cafari Panico portata in scena lo scorso anno in occasione del centenario della Grande Guerra e, in questi giorni, al teatro di Lucca (produzione TDA -Teatro Varese). Nato dalla scelta di lasciar ascoltare e anche guardare la poesia, racconta la storia di un contadino pacifista e del giovane poeta Ungaretti, interventista, che si confrontano e condividono l’esperienza della trincea. Attraverso i loro scambi si rivive, riflettendo, il dolore e la messa in discussione delle posizioni del giovane Ungaretti, il quale si trova a cercare dentro di sé le parole adeguate a rappresentare il suo sentirsi in bilico e quasi naufrago. L’orrore della guerra.
Gli autori si sono ispirati alla confessione stessa del poeta che afferma di essere molto affezionato a due dei suoi libri, “Il Porto sepolto” e “L’Allegria”:
Gli autori si sono ispirati alla confessione stessa del poeta che afferma di essere molto affezionato a due dei suoi libri, “Il Porto sepolto” e “L’Allegria”:
“L’Allegria è un titolo ironico. La poesia è, comunque, anche nel naufragio. Ed allora era un naufragio, e forse tutta la vita umana è un costante naufragio. Quella poesia era l’allegria di quel naufragio. Cioè era una poesia di quelle tremende ore, che mi liberava, pur esprimendo la mia sofferenza e quindi di quelli che con me soffrivano in presenza e con la minaccia costante della morte”.
Guerra di logoramento. Logoramento fisico, certo, ma anche interiore. Senza aver nulla, i soldati possedevano però, al di là del pensiero, di cui potevano perdere per ovvie ragioni la lucidità, la parola. Nascosta dentro di sé, da poter lasciare su qualcosa, fuori da sé. Così il poeta Ungaretti nasconde, nel suo tascapane, queste parole, la sua poesia affidata ad oggetti e carta laceri, fino a quando l’editore Serra, decide di pubblicarle nel “Porto Sepolto”. Un insieme di brevi asciutti componimenti in grado di evocare e rendere perfettamente la tragicità del momento in cui sono stati impulsivamente scritti. E fino a quando qualcuno ha pensato di scriverci un testo teatrale da far egregiamente recitare aLivio Remuzzi, Roberto Aielli e Bianca Pugno Vanoni, accompagnati dalla voce registrata di Ungaretti stesso.
Un lavoro curato e sentito, in cui c’è la volontà da parte degli autori di dare importanza al cambiamento che una certa forma d’arte ha operato alla cultura del Novecento. E al legame che essa ha avuto con la storia.
Corrado Calda e Giusy Cafari Panico collaborano in altre belle iniziative importanti, tutte legate alla letteratura, alla poesia e all’attenzione per il sentire profondo umano. Le loro scritture e le loro rappresentazioni lasciano il costante testimone del legame tra storia e presente, tra arte e vita vissuta, tra idee ed azioni. In un impegno che purtroppo non è sempre considerato, dalle istituzioni, abbastanza nobile da avere il credito meritato. Tuttavia un impegno che accarezza e supporta le coscienze di chi pensi l’umanità non soltanto mossa da interessi di profitto e scalata sociale, ma anche indissolubilmente radicata in un sentire umano. Il Tascapane è un esempio. Come lo sono altrettanto “Preghiera Volgare” ed il laboratorio teatrale “Cecità” portato avanti da Corrado, regista dalla lunga esperienza di sensibile attore. Lo stesso vale per le poesie scritte da Giusy e per il suo impegno nel nutrire autorevolmente, anche se a piccole gocce, in piccole realtà, il desiderio di scrivere poesie, suo e di altri.
Quel che traspare dalle voci di Corrado e Giusy e dal loro modo di essere, è la bellezza di chi ha lasciato che la creatività non fosse soltanto una parte secondaria ed accessoria dell’esistenza, ma una componente fondamentale e necessaria. E questa convinzione ha permesso loro di giungere proprio a esperienze importanti dalla risonanza culturale e sociale del “Tascapane”.
Adelaide Roscini
Corrado Calda e Giusy Cafari Panico collaborano in altre belle iniziative importanti, tutte legate alla letteratura, alla poesia e all’attenzione per il sentire profondo umano. Le loro scritture e le loro rappresentazioni lasciano il costante testimone del legame tra storia e presente, tra arte e vita vissuta, tra idee ed azioni. In un impegno che purtroppo non è sempre considerato, dalle istituzioni, abbastanza nobile da avere il credito meritato. Tuttavia un impegno che accarezza e supporta le coscienze di chi pensi l’umanità non soltanto mossa da interessi di profitto e scalata sociale, ma anche indissolubilmente radicata in un sentire umano. Il Tascapane è un esempio. Come lo sono altrettanto “Preghiera Volgare” ed il laboratorio teatrale “Cecità” portato avanti da Corrado, regista dalla lunga esperienza di sensibile attore. Lo stesso vale per le poesie scritte da Giusy e per il suo impegno nel nutrire autorevolmente, anche se a piccole gocce, in piccole realtà, il desiderio di scrivere poesie, suo e di altri.
Quel che traspare dalle voci di Corrado e Giusy e dal loro modo di essere, è la bellezza di chi ha lasciato che la creatività non fosse soltanto una parte secondaria ed accessoria dell’esistenza, ma una componente fondamentale e necessaria. E questa convinzione ha permesso loro di giungere proprio a esperienze importanti dalla risonanza culturale e sociale del “Tascapane”.
Adelaide Roscini
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