domenica 1 agosto 2010

Racconto sul quotidiano Libertà - IL PATTO

Oggi 1 agosto su Libertà il mio racconto estivo dal titolo "IL PATTO"
Lo riporto qui di seguito. Buona lettura ( se volete )

IL PATTO

La schiuma si stava ritirando lentamente.
Un nero intenso aveva sommerso il tenue color caramello del liquido appena versato.
«Adesso si può bere» Stefano avvicinò il boccale a Giacomo che ne afferrò con fatica l’impugnatura per gustare la sua birra preferita, quella scura.
«Salute!» Stefano ne trangugiò una buona metà in un solo sorso, mentre l’altro lo guardava con amarezza.
«Scusi» due ragazze urtarono inavvertitamente la sedia a rotelle di Giacomo per raggiungere la cassa del pub, facendo rovesciare un po’ di birra sulla polo dell’uomo.
«L’hanno fatto apposta per attirare la tua attenzione» sorrise Stefano.
«Ovviamente.» L’amico si era alzato per aiutare Giacomo a pulire la maglia, ma quest’ultimo con un gesto brusco l’aveva allontanato.
Un silenzio imbarazzato si frappose tra i due.
«E stavolta dove vuoi che vada?» chiese Stefano, preoccupato, guardando nel fondo del boccale ormai vuoto.
Il suo interlocutore lo guardò fisso negli occhi, pensoso.
Tutto era iniziato quel famoso 23 maggio di dieci anni prima, sulla Via Emilia, tra Piacenza e Codogno, di ritorno da un locale. Una questione di precedenze, nel buio di una notte in cui tutti avevano bevuto. Era il compleanno di Giacomo. «Guido io. Oggi è la tua festa.» Stefano aveva spostato Giacomo dal posto di guida e aveva messo in moto la macchina. Dopo pochi chilometri la piccola Rover si era schiantata contro il guard rail riducendosi in un ammasso informe di lamiere.
Nella sala d’aspetto dell’ospedale, un medico aveva espresso subito il suo verdetto sulle condizioni di Giacomo: «Se la caverà, ma non so in che modo» mentre Stefano, che aveva riportato solo una piccola escoriazione sul viso, urlava tutta la sua disperazione.
Nel pub una band aveva cominciato a suonare, mentre Stefano aspettava con angoscia la risposta alla sua domanda.
«Ti è piaciuto il Mar Morto, no?» gli chiese Giacomo con finta indifferenza.
«Sì…» Stefano invece sembrava sui carboni ardenti.
Ricordava quando era tornato da quel viaggio, stremato. Con un carico di taniche di acqua salata su quel piccolo camion che aveva noleggiato in Giordania, dato che in aereo ne era vietato il trasporto. Gli tornava alla mente la strana cerimonia con cui aveva dovuto riempire la vasca di Giacomo con quell’acqua tanto preziosa. E tutto questo solo per fargli provare la sensazione del galleggiamento.
Per non parlare poi di quando l’aveva mandato in tutti i bordelli di Bangkok con un piccolo registratore, per fargli sentire tutti i suoni dei luoghi più infernali del mondo.
Giacomo, avidamente, ascoltava tutti i particolari più eccitanti di tutto quello che l’amico aveva visto.
«Sì, lei usava un serpente per lo spettacolo.»
«Vivo?»
«Sì, vivo»
Tre anni prima era stato a Dubai, sul Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo, proprio lui che soffriva paurosamente di vertigini.
«Cosa hai provato?» gli aveva chiesto Giacomo
«Sentivo come se lo stomaco si fosse staccato dal resto del corpo. Tutto mi girava vorticosamente attorno e gli altri grattacieli sembravano piegarsi a terra»
«E le persone, le macchine?»
«Non le vedevo nemmeno, oppure erano solo puntini appena colorati»
Sentendosi in colpa, Stefano non aveva avuto il coraggio di andarlo a trovare nel centro di riabilitazione per diversi mesi. Giacomo non gli aveva chiesto nessun risarcimento per il danno subito e questo aumentava il suo malessere interiore. L’assicurazione aveva provveduto a tutte le spese per le cure. Ma Stefano avrebbe preferito pagare pur di dormire finalmente in pace, come non era più riuscito a fare.
Quando lo vide per la prima volta dopo l’incidente, Giacomo era solo un mucchio di ossa raggomitolate in un letto, il volto deformato in una smorfia senza fine.
«Come…» non riusciva nemmeno a parlargli.
«Come sto?» per la prima volta aveva udito quella voce nuova, dal suono metallico, che d’allora in avanti gli avrebbe parlato solo con tono di comando.
Stefano si mordeva le labbra per non mettersi ancora a piangere, mentre le infermiere trasferivano l’invalido dal letto alla poltrona:
«Sapessi come mi dispiace!» si prese la testa tra le mani.
Fuori c’era Donatella che lo aspettava. La sua ragazza. Era stata lei a dargli la forza di andarlo a trovare.
«C’è anche Donatella?» aveva chiesto Giacomo. Da ragazzi anche a Giacomo piaceva Donatella, Stefano l’aveva sempre sospettato. Ma quando si erano messi insieme Giacomo non aveva battuto ciglio. Erano grandi amici e esisteva sempre tra di loro un patto segreto di non interferenza, in fatto di donne.
E pensare che Giacomo era sempre stato il più bello dei due. Le donne gli cadevano ai piedi come le mosche. Ne cambiava una ogni due o tre mesi. Era un po’ un maledetto, non si capiva mai cosa pensasse veramente, il che piaceva a tutte tranne che a Donatella.
Stefano invece era quello schivo, il solitario, né bello né brutto. Quello serio di cui ci si poteva sempre fidare.
«Anche stavolta non mi deludere» questa frase riportò Stefano nel presente. La frase magica con cui Giacomo riusciva sempre ad ottenere da Stefano tutto quello che voleva, quella che scatenava in lui i sensi di colpa che non l’avevano mai abbandonato.
«Non lo farei mai» e mentre l’ultimo goccio di birra scivolava nel suo esofago, l’uomo si preparava con apprensione ad ascoltare l’ennesima sconcertante richiesta.
Guardandolo negli occhi, Giacomo gli disse con noncuranza: «Voglio pubblicare un libro ambientato in Sudan»
Negli anni di infermità, grazie ad un apposito programma di audioscrittura, aveva riscosso un enorme successo con una serie di romanzi d’avventura a sfondo esotico. I giornali lo avevano definito il nuovo Salgari: “come l’autore di Sandokan anche Giacomo Spaziani, senza essersi mai mosso da casa, descrive con straordinaria maestria luoghi mai visti”.
«Proprio in Sudan?! Uno dei luoghi sconsigliati da tutte le agenzie di viaggi del mondo! C’è la guerra civile.» A Stefano cominciò ad imperlarsi la fronte di sudore freddo.
Nessuno era a conoscenza che tutte le sue storie di Giacomo gli erano state raccontate dall’amico, che ne era stato testimone, come quella dell’incantatore di serpenti innamorato dell’attrice di Bollywood o quella dell’elicotterista cocainomane che lo aveva fatto precipitare nella foresta amazzonica. Per fortuna senza gravi conseguenze. Se i suoi lettori lo avessero saputo! Ma questo, purtroppo, era stato il loro Patto.
Stefano si alzò in piedi esasperato: «Ascoltami Giacomo. Sono dieci anni che ti accontento, che faccio tutto quello che vuoi… però ora sono stanco e ti prego di lasciarmi finalmente libero. Non posso continuare cosi: vorrei sposarmi con Donatella, mettere su famiglia. Non posso più correre questi rischi per te.»
Giacomo scosse appena il capo, gli occhi persi in uno spazio lontano.
“Te lo ripeto. Non mi deludere.” E con il comando vocale allontanò la carrozzina dal tavolo.
“Portami a casa. Domani ti farò avere il biglietto aereo, i soldi, le mappe e tutte le tappe che ti ho organizzato via internet. Dormirai in tenda stavolta.”
Mentre appoggiava l’amico sul sedile anteriore della sua auto, Stefano sentì dentro di sé un impulso irrefrenabile di liberarsi definitivamente di lui, per togliersi da quel giogo.
Avrebbe voluto ucciderlo. Sarebbe bastato scaraventarlo fuori dalla macchina in corsa. Scacciò questo pensiero, di cui si vergognò subito e pensò che sarebbe stato sufficiente infrangere finalmente il Patto. Nessuno lo aveva mai obbligato. A parte il senso di colpa che lo opprimeva.
«Non ti ho chiesto neanche un soldo, né lo farò mai» gli aveva detto all’epoca Giacomo, nel centro di riabilitazione, «Voglio solo che per quindici giorni all’anno tu faccia tutto quello che voglio.».
Parlava come in trance e senza tradire nessuna emozione. Era diventato arido e insensibile. Le uniche emozioni le trasferiva sui suoi libri. Che erano quelle di Stefano, non le sue.
«Stavolta non vado» disse a mezza voce il guidatore. Giacomo, seppure a fatica, con una mano spostò bruscamente il volante facendo sbandare paurosamente la macchina.
«Ma sei matto? » Stefano fermò il mezzo in una piazzola, ansimando.
«Come quella notte…Ti ricordi vero di quella notte…» la voce metallica di Giacomo ripeteva cantilenando queste pesantissime parole.
«Basta, basta!» Stefano, urlando per l’esasperazione, rimise in moto e ricondusse Giacomo a casa. Un infermiere lo attendeva sulla porta per aiutarlo.
«Ma è l’ultima volta!» gli urlò dal finestrino, mentre Giacomo non si voltava nemmeno per salutarlo.
Dieci giorni dopo.
Quando la guida araba entrò nella tenda, Stefano stava esaurendo il contenuto dell’ultima borraccia d’acqua potabile.
«A cinque chilometri da qui c’è un’epidemia di Ebola» scriveva Stefano a Giacomo utilizzando il suo pc portatile connesso ad internet con una chiavetta. «Come mi avevi ordinato non sono in contatto con nessuno che non sia del luogo. L’unico che parla inglese è Muhammad, la guida. Siamo circondati dai guerriglieri. Non so per quanto tempo riuscirò a comunicare. L’acqua si sta esaurendo. Mai come stavolta hai messo la mia vita in pericolo. E per cosa poi? Non posso vivere al tuo posto! Nessuno può farlo! Se mi succedesse qualcosa, racconta tutto a Donatella e dille che l’amo. Non le ho mai detto del nostro Patto: non volevo coinvolgerla. Lei crede che sia a fare il mio solito master aziendale in Inghilterra. Sta entrando qualcuno…Aiuto! Chiama il Ministero degli Esteri. Chiama qualcuno. Subito!»
«Cosa stai leggendo?» Donatella si avvicinò a Giacomo chino sul computer portatile che riusciva a comandare con un movimento dell’occhio.
«Niente» rispose «Sto correggendo le ultime battute del mio nuovo libro» e, con un velocissimo copia e incolla, estrapolò qualche frase dalla mail, nascondendo il nome del mittente.
«Siamo circondati dai guerriglieri…» lesse Donatella. «E’ fantastico come tu riesca sempre a rendere queste immagini e queste atmosfere senza averle vissute in prima persona. Ma come fai? »
Giacomo volse il volto deformato verso di lei. «Fantasia», rispose, con voce un po’ metallica.
«Me lo diceva sempre Stefano che a scuola eri molto bravo, che le insegnanti delle altre classi volevano leggere i tuoi temi»
«Troppo buono, Stefano. A proposito, dov’è?» Giacomo spense il computer con un battito di ciglia.
«In Inghilterra, al suo solito master. Prima di partire mi ha raccomandato di venirti a trovare almeno una volta alla settimana, come fa sempre lui. Sai quanto ci tiene a te.» Donatella gli mise una mano sulla spalla. «D’altronde non ha bisogno di dirmelo. Se non ci fosse lui ci sarei sempre io a prendermi cura di te.»
Da un angolo della bocca di Giacomo partì un sorriso luciferino.
«Scusa un attimo» le disse mentre con un altro comando si spostava in un’altra sala.
Riaccese il computer dove comparve una scritta disperata: «Aiutami Giacomo! Rispondimi. Sento esplodere bombe, stanno per venirci a prendere. Ho paura! NON MI DELUDERE. »
Con il comando dell’occhio iniziò a digitare la mail:«No, che non ti deludo. Avevi espresso il desiderio che questo fosse il tuo ultimo viaggio no? E io ti esaudisco. Fino in fondo rispetto il nostro Patto»
“Sento esplodere bombe, stanno per venirci a prendere. Ho paura! Non mi deludere! FINE”
«Bellissimo finale!» esclamò ammirata Donatella riempiendogli il boccale di birra scura.
«Salute!» brindò Giacomo.


Giusy Càfari Panìco



Nessun commento:

Posta un commento